Per la sua posizione strategica di porto militare al centro del Mediterraneo, la città di Napoli subì pesantissimi bombardamenti dalle truppe alleate, fin dall’entrata in guerra dell’Italia. La situazione, già grave di suo, andò addirittura peggiorando dopo la proclamazione l’8 settembre 1943, da parte del Maresciallo Badoglio, dell’Armistizio di Cassibile con gli Alleati. In mancanza di ordini dal comando militare, le truppe italiane, come in ogni altra parte del Paese, si trovarono allo sbando. Da Napoli, in particolare, si verificò la fuga dei due generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, addetti al controllo militare della provincia partenopea. I loro ultimi atti furono quelli di consegnare la città all’esercito tedesco e la stesura di un manifesto che, vietando gli assembramenti, autorizzava i militi a sparare sui disobbedienti.
L’OCCUPAZIONE NAZISTA E I PRIMI SCONTRI – Fin dall’inizio dell’occupazione nazista si ebbero i primi fenomeni di intolleranza e di resistenza, ed azioni militari più o meno organizzate; a partire dal 1 settembre 1943, le manifestazioni studentesche in Piazza del Plebiscito e le prime riunioni del Liceo Classico Sannazzaro al Vomero. Il primo scontro cruento avvenne il 10 settembre, quando la popolazione napoletana bloccò il passaggio di alcuni automezzi dei tedeschi, che per rappresaglia appiccarono un incendio alla Biblioteca Nazionale uccidendo tutti quelli che accorsero sul luogo. Gli scontri armati proseguirono anche nei due giorni successivi, tanto che il 12 settembre il colonnello Walter Scholl (che assunse quel giorno il controllo delle forze armate che occupavano la città) fu spinto a proclamare lo stadio d’assedio. Ciò consistette nell’istituzione del coprifuoco e nell’ordine di passare per le armi chiunque insorgesse, oltre all’esecuzione di cento napoletani per ogni tedesco ucciso.
Le esecuzioni indiscriminate (alle quali spesso gli abitanti erano costretti ad assistere), i saccheggi, i rastrellamenti della popolazione civile (soprattutto maschile) e le distruzioni della guerra accrescevano sempre di più la rabbia e la esasperazione dei napoletani, ormai da troppo tempo costretti alle miserie belliche. La ribellione cresceva priva di un fattore organizzativo esterno e di una qualunque connotazione politica, nel puro desiderio di liberarsi degli occupanti tedischi.
Il punto di rottura si ebbe quando Scholl decretò la chiamata alla leva di tutta la popolazione maschile compresa tra i diciotto e i trentatré anni, nella sostanza una deportazione forzata ai campi di lavoro in Germania. All’appello si presentarono solo centocinquanta cittadini sui trentamila previsti, e di conseguenza partirono per le strade ronde militari con l’intento di rastrellare e fucilare tutti coloro che avevano marcato visita; la misura ormai era colma e l’insurrezione generale fu inevitabile. Messi di fronte alla scelta tra morire o venire deportati in Germania, e la lotta per la propria sopravvivenza, per i napoletani la decisione fu quanto mai scontata. Persone di ogni ceto ed occupazione si riversarono nelle strade dei propri quartieri o rioni per costruire barricate e imbracciare le armi, organizzandosi in gruppi sempre più numerosi già dalla mattina del 26 settembre. A loro si unirono anche molti dei soldati italiani stanziati nel napoletano, che dopo l’armistizio si erano dati alla macchia, tornando a combattere per il proprio paese.
QUATTRO GIORNATE DI LOTTA – Le quattro giornate di lotta iniziarono il 27 settembre, come reazione al rastrellamento di ottomila uomini in vari punti della città, e scesero per le strade circa cinquecento persone armate. I primi combattimenti avvennero al Vomero e continuarono senza sosta, per tutta la giornata, in varie zone del capoluogo campano, spinti anche dalla falsa notizia di un imminente sbarco alleato a Bagnoli. In serata i ribelli riuscirono a piegare la strenua resistenza nazista e ad occupare l’armeria di Castel Sant’Elmo, oltre ad impedire la demolizione del ponte della Sanità, collegamento vitale con il centro della città.
Il giorno successivo, con l’aumentare della popolazione insorta, si intensificarono gli scontri e aumentarono i tentativi di deportazione, sempre più combattuti e limitati. Al terzo giorno, il 29 settembre, le battaglie si fecero sempre più cruente, con l’organizzazione della sommossa lasciata per lo più ai capipopolo di quartiere e ad altre figure locali che si erano distinte nei giorni precedenti, ed assunsero il comando delle operazioni nei vari quartieri, mancando del tutto il collegamento diretto con le altre forze antifasciste ma soprattutto con il Fronte di Liberazione Nazionale.
I nazisti, come tentativo estremo di sedare la rivolta, dispiegarono i carri armati Tiger e bombardarono senza remore interi quartieri, procedendo all’eccidio di chiunque capitasse sotto tiro. Questo, però, non fermò minimamente la lotta dei napoletani, che anzi proseguì senza alcuna sosta, arrivando ad attaccare ripetutamente il quartier generale degli invasori, situato in Corso Vittorio Emanuele, tanto che il colonnello Scholl trattò la resa con il Tenente Enzo Stimolo. In cambio del libero passaggio via da Napoli, sarebbero stati liberati tutti i prigionieri dei nazisti. Per la prima volta in Europa un comandante dell’esercito tedesco si trovava a trattare direttamente con degli insorti civili.
Il 30 settembre, mentre la Wehrmacht aveva già iniziato lo sgombero della città per l’imminente arrivo delle forze alleate, i combattimenti proseguirono con le azioni dei tedeschi che ormai erano solo pure vendette, senza alcun significato strategico, e lasciarono indietro incendi e stragi (il più clamoroso fu l’incendio doloso appiccato all’Archivio di Stato di Napoli, che procurò un danno immenso al patrimonio storico e artistico). Il 1 ottobre i carri armati alleati entrarono finalmente in città, che si era però già liberata da sola il giorno prima.
La spiegazione ufficiale più diffusa di queste quattro giornate è sempre stata quella di una semplice lotta per la difesa del focolare, una semplice lotta spontanea contro l’invasore straniero. Agli occhi dei contemporanei, essa appariva come una sollevazione di second’ordine, semplicemente patriottica e priva di un qualsiasi sentimento antifascista (gli stessi scontri furono quasi interamente tra italiani e tedeschi, in quanto le forze ancora fedeli a Mussolini non avevano avuto il tempo di riorganizzarsi) o di ideali avanzati e universalistici come nelle lotte partigiane nel Settentrione.
La breve durata dell’occupazione nazista (neanche un mese) impedì lo sviluppo dei gruppi di ribelli cittadini come invece sarebbe avvenuto in altre zone d’Italia, che continuarono a essere occupate nei quasi due anni successivi. I napoletani, dunque, si videro lasciati fuori dalla retorica della lotta partigiana, per colpe non loro.
UN LASCITO TRASCURATO – Come già detto, la brevità dello scontro e il connesso lieto fine spensero velocemente l’eroismo e le ragioni ultime della battaglia, lasciando fin da subito il campo all’occupazione alleata. Diversa sorte, invece, ebbe il dibattito politico legato a questo episodio, che generò un vero e proprio conflitto tra le varie versioni, legate più alle ideologie e ai pregiudizi su Napoli che alla realtà storica dei fatti. Quella marxista, offuscata dagli stereotipi sui partenopei e la cultura meridionale in generale, bollò l’accaduto come l’ennesimo episodio di ribellione popolare della città, come il semplice scoppio di una rabbia repressa; quella di destra minimizzò invece l’evento nel tentativo di preservare l’immagine monarchica e fascista di Napoli, bollandola come semplici episodi che non fecero altro che assecondare la ritirata già in atto della Wehrmacht.
Le Quattro giornate di Napoli sono in realtà una naturale forma di resistenza civile e popolare, e un concreto e nobile esempio di difesa sociale e non aggressiva di una città che, fin dal primo giorno di occupazione, si rifiutò di collaborare in qualunque maniera con l’invasione, tramite azioni di boicottaggio, sabotaggio e di netto rifiuto alla militarizzazione della popolazione civile, oltre alla creazione di organismi paralleli, grazie ai quali i partenopei seppero liberarsi da soli dall’occupante tedesco.
Fonti cartacee:
- G. Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-1944, Bollati Boringhieri, 2005.
- R. Battaglia, Breve storia della Resistenza italiana, Editori Riuniti, 2007.