Tra i volti più noti del XX secolo Vladimir Ilic Ulijanov, meglio noto come Lenin, è un personaggio che ancora oggi riveste un ruolo centrale nell’immaginario collettivo e nel dibattito politico ancor prima di quello storico. Figura di rilievo, se non leader, della Rivoluzione d’ottobre del 1917, sotto la sua guida la Russia divenne uno stato socialista monopartitico governato dal Partito comunista sovietico.
VLADIMIR ULIJANOV “LENIN” – Figlio di una famiglia benestante, si radicalizzò dopo l’esecuzione di suo fratello avvenuta nel 1907. In poco tempo assunse una posizione di primo piano nel socialismo rivoluzionario russo, grazie a una fervente attività politica, fatta di scioperi e di scritti teorici che lo resero famoso anche in Europa occidentale.
Verrà arrestato per sedizione, esiliato da San Pietroburgo e spedito in Siberia per tre anni. Scontata la pena, fu comunque bandito dalle grandi città e perciò decise di espatriare e girare per l’Europa, pur senza frenare la sua attività teorica, con i suoi scritti che venivano distribuiti clandestinamente in Russia.
È in questi anni di inizio Novecento che il suo pensiero si forma in maniera concreta. Se da una parte Lenin rigetta il populismo, che riteneva essere il frutto di teorie astratte e di vane promesse consolatorie come risposta al presente, dall’altra rifiuta anche la spontaneità dell’azione politica prerogativa dei gruppi rivoluzionari o anarchici di stampo terrorista. Per attuare il socialismo rivoluzionario era per lui necessaria la formula del partito, capace di coinvolgere l’intellettualismo filosofico che, da Marx in poi, caratterizzava il dibattito sui diritti dei lavoratori, con il popolo, il destinatario di tutte le politiche comuniste.
Esso però non doveva essere appannaggio di qualsiasi lavoratore insoddisfatto, ma espressione dell’avanguardia rivoluzionaria e intellettuale della classe operaia; posizione che provocò non poche reazioni tra i membri del Partito operaio socialdemocratico russo, di cui Lenin faceva parte, tanto da provocarne una divisione tra coloro che sostenevano le sue idee, i bolscevichi, e chi invece sosteneva il suo antagonista Julij Martov, noti appunto come menscevichi.
LA RIVOLUZIONE DEL 1905 E L’INCONTRO CON STALIN – Le divisioni tra i due schieramenti si fecero evidenti quando, il 22 gennaio 1905, una dimostrazione popolare venne repressa nel sangue e scatenò un ondata di disordini noti come Rivoluzione del 1905. Lenin appoggiò incondizionatamente la lotta, esortando i sui compagni a prendere posizioni sempre più nette, insieme a una partecipazione maggiore nelle azioni rivoluzionare. La sua linea estrema, condita di termini come “terrore di massa” ed “ esproprio dei terreni”, lo rese sempre più distante dai menscevichi e dal marxismo ortodosso.
Nel frattempo, dopo una serie di vaghe promesse e di fragili concessioni da parte dello zar Nicola II, la Rivoluzione del 1905 si concludeva con la piena restaurazione dell’autocrazia, mentre per Lenin cominciava un nuovo periodo di clandestinità in giro per l’Europa. Da questa esperienza maturò nel leader dei bolscevichi la consapevolezza che, appena se ne sarebbe presentata l’occasione, per il successo della rivoluzione sarebbe stato necessario l’appoggio della classe contadina, insieme a quella operaia, e che, per sovvertire l’ordine zarista, la guerra civile non solo era inevitabile ma anche auspicabile se combattuta con ferocia e senza esclusione di colpi o rimorsi.
Nel novembre del 1905, in Finlandia, avvenne un incontro che cambierà non solo la sua vita ma la storia della Russia in generale. Durante una conferenza nella cittadina di Tampere conobbe il giovane georgiano Joseph Stalin. Nato nel 1875 come Iosif Vissarionovič Džugašvili e di umilissime origini, i suoi primi anni di vita furono segnati da molte malattie che ne minarono la costituzione fisica. Il contatto con l’ambiente e le idee dei deportati politici lo portò ad abbracciare il socialismo unito alle teorie marxiste, fino a entrare nel 1898 nel Partito operaio socialdemocratico russo.
Dopo l’incontrò con il suo mentore Lenin, il suo impegno per scatenare una rivoluzione fu sempre maggiore. Periodi di detenzione in Siberia si alternarono a brevi fughe, che sfruttò per far crescere la sua influenza nella compagine bolscevica, grazie alle sue qualità organizzative, fino a entrare (su richiesta di Lenin) nel Comitato centrale.
DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE ALLA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO – Lo scoppio della prima guerra mondiale pose anche fine alla Seconda Internazionale socialista per via dell’appoggio dei partiti socialisti francesi e tedeschi allo sforzo bellico, che Lenin giudicò contrario agli ideali internazionalistici del socialismo. Nel frattempo l’Impero Russo era sceso in campo insieme alle altre potenze dalla Triplice Intesa.
L’arretratezza del sistema economico e militare russo fu ampiamente messa in luce dai crescenti insuccessi sul fronte orientale; e la progressiva ritirata delle truppe non fece che aggravare il malcontento già di per sé non indifferente in seno alla popolazione e ai militari. Più uomini partivano al fronte e più calava la produzione agricola, e conseguentemente l’intera economia del paese entrava in crisi. In questo modo, anche il potere esecutivo rischiava il collasso.
Mentre Nicola II comandava l’esercito al fronte, le lotte intestine per il potere esasperavano ancora di più la già non semplice situazione nel paese. Il 18 febbraio 1917 furono indetti una serie di scioperi nei centri industriali di Pietrogrado (San Pietroburgo), e il 23 febbraio fu proclamato lo sciopero generale. Nei giorni successivi le fila dei manifestanti si ingrossarono sempre di più, mentre lo zar si rifiutava di fare qualsiasi concessione ai rivoltosi.
Le truppe stanziate a Pietrogrado passarono dalla parte degli insorti, distribuendo loro armi e dando vita, insieme agli operai, ai soviet. Mentre i manifestanti occupavano i maggiori centri di controllo di San Pietroburgo, anche a Mosca scoppiò la rivolta e in pochi giorni la città fu in mano ai rivoluzionari.
A questo punto la situazione per lo zar era compromessa. Nicola II abdicò e il trono imperiale rimase vacante, mentre i soviet e il comitato – formato da menscevichi, cadetti e socialisti rivoluzionari – presero il potere. Dal governo provvisorio erano però esclusi i bolscevichi, che, avendo i propri leader dispersi per esili volontari o detenuti in Siberia, ebbero veramente poco a che fare con la Rivoluzione di febbraio.
VERSO L’OTTOBRE ROSSO E LA GUERRA CIVILE – I primi mesi del nuovo governo non furono affatto facili: i liberali ne costituivano la parte forte, mentre i soviet erano più che altro una rete amministrativa parallela a quella ufficiale. Entrambi non si dimostrarono però, capaci di capire e di risolvere la gravosissima situazione in cui versava il Paese. Colto di sorpresa dallo scoppio rivoluzionario di febbraio, appena ne ebbe notizia Lenin decise di tornare in Russia il prima possibile. Francia e Inghilterra si rifiutarono di concedergli il vista per raggiungere in treno la Svezia (dove, passando per la Finlandia, sarebbe riuscito a entrare in Russia).
Furono i tedeschi che, consci dalla volontà dei bolscevichi di porre fine alla guerra, gli concessero il visto per raggiungere la Russia, insieme a qualche decina di altri esuli russi. Nell’aprile 1917 arrivò a Pietrogrado, dove ad attenderlo, oltre a una folla festante, c’era anche Stalin – che, grazie all’amnistia per reati politici, aveva concluso la sua deportazione in Siberia a marzo. Una rivoluzione sull’orlo della paralisi ritrovava inaspettatamente un leader in grado di prenderne la guida.
Fin da subito Lenin dichiarò quale suo obiettivo dare il via alla rivoluzione socialista, sostenendo che prima andasse preso il potere e poi risolti i problemi economici del paese. A tal proposito costituì il Partito comunista russo, scindendosi dai socialdemocratici in maniera netta e definitiva. Mentre il governo provvisorio era a favore del proseguimento della guerra, i soviet ne avevano invece abbastanza, manifestando contro di essa e a favore di un miglioramento delle condizioni di vita. Era la paralisi politica.
Tra manifestazioni sempre più violente e l’incapacità del comitato di formare un governo stabile, la Rivoluzione di febbraio era al termine. Su proposta di Lenin si formò un nuovo governo composto solo da menscevichi e socialisti rivoluzionari. Il 10 ottobre la maggioranza di esso si volse a suo favore preparando un’insurrezione armata. Un primo politburo ne decise le modalità e, grazie anche all’appoggio dei soviet, il 25 ottobre del calendario russo i rossi occuparono il Palazzo d’inverno e i maggiori centri della città.
Il giorno successivo, il consiglio panrusso dei soviet ratificò l’insurrezione e ordinò la ridistribuzione delle terre. Il nuovo governo, formato dai soli bolscevichi, vedeva alla sua guida Lenin. La reazione alla rivolta non tardò ad arrivare. Per il Paese cominciava una violenta e feroce guerra civile. Durante di essa vi fu il fallimento dell’assemblea costituente, così come voluto da Lenin, e la fine della guerra mondiale, sotto condizioni durissime che provocarono l’abbandono del governo e dell’appoggio alla rivoluzione bolscevica da parte dei socialisti rivoluzionari.
Contemporaneamente i menscevichi si ricompattarono ai bolscevichi, riconoscendo la Rivoluzione d’ottobre come legittima e necessaria, partecipando anche alla lotta armata contro la controrivoluzione, che godeva dell’aiuto delle potenze straniere.
LA NASCITA DELL’UNIONE SOVIETICA – Con la costituzione del 10 luglio 1918, l’ex impero Russo diventava un’Unione di repubbliche socialiste sovietiche. Per rispondere alla crisi economica dovuta alla guerra civile, Lenin intraprese una politica nota come Comunismo di guerra. Il razionamento delle derrate alimentari provocò però l’ira dei contadini, soprattutto ucraini, e violenti scontri culminati con esecuzioni di massa.
La nazionalizzazione e la municipalizzazione del commercio privato, d’altro canto, non fece altro che peggiorare una situazione già grave di suo e in molti cominciavano a dubitare dello stato mentale di Lenin, il quale invece era convinto che la vittoria e l’attuazione del socialismo fossero sempre più vicini. Il 1918 fu anche l’anno della svolta bolscevica.
Se la rivoluzione contadina e la successiva repressione tradivano il carattere popolare della lotta, i bolscevichi ovviarono a questo fattore trovando nella massa popolare cittadina, nelle piccole nazionalità presenti nell’unione e nel risentimento popolare più cittadino, l’appoggio, le risorse e gli uomini necessari per la ricostruzione statale.
Una base popolare più solida, il controllo della parte centrale e nevralgica del paese unita all’uso della forza furono i fattori che determinarono la vittoria dei rossi con i controrivoluzionari bianchi e gli altri partiti della sinistra extra-governativa. A ottobre dello stesso anno, con la fine della guerra e il crollo degli imperi centrali, la vittoria era ormai certa e l’idea della “rivoluzione prima del tempo” di Lenin dava i suoi frutti.
I combattimenti, nei quali spiccò ed emerse la figura di Stalin, continuarono per tutto il 1919. La sua fermezza e decisione – unite a una ferocia inaudita nelle repressioni – con cui condusse le sue truppe, seppur richiamato a Mosca per via dei dissidi con Trockij, lo fecero sempre più apprezzare agli occhi di Lenin, che gli conferì l’incarico di segretario generale del Partito comunista.
Il 1920 vide la completa riorganizzazione statale dell’Urss, dilaniata da una guerra intestina che ne aveva decimato la popolazione e distrutto l’economia. Essa però vide una svolta nel 1921 con l’abbandono del Comunismo di guerra e l’inizio di una Nuova politica economica. Le requisizioni ai contadini finirono, furono restaurate la libertà di commercio e la proprietà privata delle piccole e medie imprese, venne abolito il controllo operaio, reintrodotto il cottimo e ristabilita l’azione sindacale.
La Nep piacque molto alla popolazione nelle campagne che, insieme alla ridistribuzione delle terre, dava il primo grande slancio all’agricoltura dall’inizio della guerra e soprattutto risaltava molto positivamente rispetto alle durissime condizioni affrontate dai contadini in tempo di guerra civile. Fatto non trascurabile era che questa nuova politica rispettasse le diverse nazionalità e culture dell’Urss.
Dal punto di vista industriale, pur restando sotto il controllo statale, i ceti tecnici e industriali prodotti dalla precedente modernizzazione zarista ebbero enormi influenze e possibilità di intervento nelle decisioni e ciò fu vitale per la ripresa dell’economia, con il mercato monetario che finalmente si stabilizzava su posizioni molto più logiche di quelle dei bolscevichi più intransigenti.
IL TESTAMENTO E LA MORTE DI LENIN – Ma della ripresa economica dell’Urss e dei benefici della Nep, Lenin non poté che vederne l’inizio. Malgrado avesse solo cinquant’anni, le sue condizioni di salute – già rese precarie da un attentato nel 1918 – peggiorarono sempre di più a partire dall’inizio del 1921, al punto da poter riprendere l’attività politica solo nel settembre 1922. Troppo stanco e segnato dalla malattia, la sua leadership si fece sempre più debole e fu subito chiaro che bisognasse trovare il suo successore alla guida del Paese. Giudicandolo già finito, Stalin cominciò a contravvenire ai suoi ordini e ad abusare del suo enorme potere come segretario del Partito per agire da despota e imporre le proprie idee. I ripetuti collassi e crisi fecero capire a Lenin che la fine era vicina, e di aver conferito troppo potere alla persona sbagliata.
È in questa situazione che, il 23 dicembre, Lenin cominciò a dettare gli appunti che divennero famosi come il suo “Testamento”. Si trattava in realtà di note sui principali dirigenti del Partito: Stalin e Trockij tra i vecchi e Bucharin e Pjatakov tra i giovani. Di nessuno di essi egli diede un giudizio interamente positivo, rifiutandosi così di nominare personalmente un successore, credendo di essere l’unico a potere dirigere Stato e Partito insieme.
A Stalin non riconosceva una particolare intelligenza né morale, arrivando persino a proporre la revoca del titolo di segretario generale, poiché rozzo e incapace di ragionare in termini politici. Inoltre gli rimproverava anche la sua ostilità verso i socialismi nazionali delle varie repubbliche che componevano l’Unione Sovietica. Esortò anche la dirigenza del partito a perseguire con la Nep per i prossimi decenni, invece di vederla come una semplice fase transitoria. Il 5 marzo 1923 Trockij e Stalin si videro entrambi recapitare una lettera scritta da Lenin. Il primo veniva esortato a prenderne il suo posto mentre il secondo fu oggetto di parole brutali e della minaccia di interrompere qualsiasi rapporto.
Le preoccupazioni del georgiano non durarono al lungo. Il 10 marzo un terribile attacco, con conseguente paralisi del lato destro del corpo, mise Lenin praticamente fuori gioco e aprì ufficialmente i lavori per la sua successione. Egli morirà, ormai completamente paralizzato, il 21 gennaio 1924.
L’isolamento nel partito di Trockij e la maggior abilità nel creare alleanze di Stalin fece facilmente prendere il potere a quest’ultimo, cambiando radicalmente l’Unione Sovietica nella maniera che Lenin aveva temuto e, invano, cercato di evitare negli ultimi anni della sua vita.
Del suo “testamento”, letto ai delegati del XIII congresso del Partito, si perse ogni traccia fino a quando Nikita Chruščëv lo rese pubblico nel 1956.
Fonti cartacee:
- A. Graziosi, L’Urss di Lenin e Stalin. Storia dell’Unione Sovietica 1914-1945, Il Mulino, 2011.