Siamo pura geometria? L’universo della supergravità

È davvero straniante tentare di immedesimarsi nei nostri più lontani antenati, posti di fronte a una natura apparentemente imprevedibile, molteplice e imperscrutabile. Nel corso della storia, con ogni conquista della ragione e ogni spazio di comprensione sottratto al dominio del misticismo, abbiamo gradualmente riconosciuto in quella natura inizialmente così estranea alle ordinate strutture della nostra mente prima un barlume, poi una fiamma, di un celato nocciolo razionale. E così Galileo mostrò che tutti i corpi si muovono assecondando le stesse leggi matematiche, Newton che le leggi dei cieli e della Terra sono le medesime, Maxwell che elettricità e magnetismo sono due facce della stessa medaglia e così via: una scalata che troverebbe il suo compimento in una descrizione unica della natura, nella sua razionalizzazione finale.

Negli anni ’70-’80, prima dell’irresistibile avvento della teoria delle Stringhe, un’altra teoria si candidava per la prima volta per la realizzazione della tanto agognata unificazione della fisica: la supergravità (o Sugra, se preferite l’intimità dei nomignoli). La proposta è quella di interpretare l’intera varietà della fenomenologia fisica come diverse manifestazioni di un solo e unico ente, lo spaziotempo, completando così idealmente la rivoluzione paradigmatica lanciata più di un cinquantennio prima dalle scoperte di Einstein. Ripercorreremo astoricamente le principali idee in gioco e quindi ci chiederemo: siamo increspature nella trama dello spaziotempo?

Lo spaziotempo

A dispetto di quanto potrebbe erroneamente suggerire il nome, la relatività generale è ben distante da relativismo conoscitivo e idee simili. Al contrario la relatività propone un Universo molto più unitario di quello dipinto dalla fisica classica di Galileo e Newton. Si tratta di un Universo le cui leggi e oggetti della fisica sono entità a tutti gli effetti assolute, in quanto indipendenti dall’osservatore che compie l’esperimento. Potrebbe stupire il fatto che questa non fosse una caratteristica della fisica classica. La fisica di Galileo e Newton, infatti, smette di funzionare se l’osservatore sta accelerando, poiché dal suo punto di vista si manifesterebbero le cosiddette forze apparenti, che per un osservatore fermo non esisterebbero. È esperienza comune, per esempio, quando si frena in auto, avvertire una forza che ci proietta verso il parabrezza, mentre un eventuale pedone lì fuori non vedrebbe nessuna forza all’opera. In relatività generale, invece, la fisica è la stessa per ogni osservatore. Questo viene realizzato unificando spazio e tempo in un unico oggetto geometrico: lo spaziotempo.

Un’implicazione fondamentale è che lo scorrere del tempo sarebbe solo una percezione. Un po’ come un filmato che è già interamente sul nostro hard disk, ma che possiamo vedere solo facendo scorrere i fotogrammi davanti ai nostri occhi. Se in qualche modo potessimo “vedere” la dimensione temporale come vediamo quelle spaziali, la nostra intuitiva idea di movimento cesserebbe di avere senso. Una particella che vediamo muoversi nello spazio non è altro che una linea nello spaziotempo. A questo punto lo studio del moto dei corpi si trasforma nello studio della geometria dello spaziotempo.

Lo spaziotempo è uno e uno solo, e le descrizioni dei vari osservatori sono solo sguardi differenti sul medesimo oggetto. Quello che per un osservatore è l’”adesso” non è altro che una “fetta” dello spaziotempo, una specie di fotogramma 3D. Diversi osservatori chiameranno “adesso” delle fette diverse di spaziotempo, percependo quindi dei fenomeni fisici anche vistosamente diversi, ma la loro descrizione quadridimensionale sarà comunque unica e assoluta per tutti.

Una rappresentazione intuitiva dello spaziotempo

Einstein utilizzò il fatto che la gravità, in prossimità di ogni osservatore, risulta indistinguibile da una forza apparente per interpretarla come un qualcosa di intrinsecamente geometrico. In sostanza lo spaziotempo viene curvato dalla presenza di campi su di esso e questa curvatura viene interpretata come campo gravitazionale. Più ci si avvicina a un oggetto massivo, come un pianeta, più il tempo scorre lentamente e le lunghezze spaziali si contraggono. Questo fenomeno è stato ampiamente dimostrato sperimentalmente: per esempio gli orologi dei satelliti, che si trovano a gran distanza dalla superficie terrestre, devono correggere l’orario dei propri orologi per mantenerli sincroni con il suolo. La gravità non è dunque un campo come gli altri, situato “nello” spaziotempo, ma è una proprietà intrinseca della geometria dell’Universo. Questo significa che sia la cinematica che la fisica gravitazionale possono essere spiegate dalla sola geometria dello spaziotempo.

Rappresentazione intuitiva di come appare la curvatura dello spaziotempo nello spazio tridimensionale (lucasvb)

Le dimensioni extra

LRicapitolando, abbiamo unificato concettualmente spazio e tempo, successivamente abbiamo scoperto che quello che appare a tutti gli effetti come un campo di forza, la gravità, imprevedibilmente si rivela essere una proprietà geometrica dello spaziotempo stesso. Questa rivoluzionaria unificazione lascia però la fisica in un marcato dualismo: da un lato abbiamo lo spaziotempo e dall’altro tutti gli altri campi che lo popolano. Sulla base dell’esperienza accumulata fin qui sorge spontanea una domanda: possiamo fornire di un’interpretazione geometrica anche gli altri campi di forza?

Possiamo ipotizzare che le dimensioni dello spaziotempo non siano solo le familiari 3+1, ma siano di più. Le dimensioni extra devono essere minuscole e compatte, invece che estese come quelle visibili, per spiegare il fatto che banalmente nessuno di noi ha mai visto niente finirci dentro. Ammettiamo che anche la geometria di queste nuove dimensioni possa essere curva. Avviene il cosiddetto miracolo di Kaluza-Klein, dai nomi dei due teorici che scoprirono il curioso meccanismo.

In uno spaziotempo dotato di piccole dimensioni extra otteniamo che la curvatura delle 3+1 dimensioni estese è la gravità, mentre la curvatura di queste dimensioni extra dà vita ad altri campi di forza. Dagli esperimenti del secolo scorso sappiamo che i campi di forza della fisica (gravità esclusa) ammontano al campo elettromagnetico, all’interazione forte e a quella debole.  Se scegliamo la giusta forma per le dimensioni extra i campi che otteniamo dalla loro curvatura sono proprio questi tre mancanti all’appello. In particolare il numero minimo di dimensioni che lo spaziotempo dovrebbe avere sarebbe addirittura di 10 spaziali più una temporale.

supergravità onde

Il superspaziotempo

A questo punto abbiamo unificato concettualmente tutti i campi di forza interpretandoli come pura geometria dello spaziotempo. Tuttavia sulla base degli esperimenti abbiamo ben chiaro che esistono due tipi distinti di campi: i campi di forza (detti bosonici) e i campi di materia (detti fermionici). A questo punto vi starete inevitabilmente chiedendo se sia possibile che i campi di materia, che compongono noi e tutti gli oggetti della nostra quotidianità, possano anch’essi essere un qualcosa di geometrico. La risposta è ancora una volta sì, se siamo disposti ad accettare che lo spaziotempo sia in realtà un superspaziotempo, ovvero che abbia delle ulteriori dimensioni extra (dette fermioniche) molto speciali rispetto a quelle trattate finora (dette bosoniche). A renderle differenti sono caratteristiche piuttosto tecniche e difficile da rendere intuitive: in primis le coordinate di queste nuove dimensioni non sono veramente numeri, ma numeri di Grassmann (la cui moltiplicazione non rispetta la solita proprietà commutativa).

Geometricamente basti sapere che questo provoca una sorta di torsione dello spaziotempo, oltre alla già presente curvatura. Questa nuova proprietà geometrica dello spaziotempo riesce proprio nel tentativo di spiegare i campi di materia, in modo non tanto diverso da come la curvatura spiega i campi di forza. Il numero massimo di dimensioni (bosoniche) per cui questa costruzione ha senso è 10+1, cioè molto notevolmente lo stesso numero che appare nel paragrafo precedente.

Tuttavia queste idee non sono esenti da certe inevitabili problematiche. L’identificazione tra la curvatura delle dimensioni extra e i campi di forza funziona molto bene alle basse energie, ma ci si aspetta che alle alte energie possano presentarsi delle differenze non tanto sottili. Come sempre, l’ultima parola deve spettare all’esperimento, che però è ancora ben lontano dal disporre dell’energia necessaria.

Inoltre l’ipotesi del superspaziotempo implicherebbe, sempre alle alte energie, l’esistenza della cosiddetta supersimmetria (Susy per gli amici), ovvero una particolare simmetria tra campi di forza e di materia, che però non è ancora mai emersa in nessun esperimento, generando scetticismo nella comunità. La supergravità non è comunque mai davvero morta, ma è stata più che altro fagocitata dal nuovo arrivato. Infatti la supergravità sopravvive oggi come approssimazione alle basse energie della teoria delle stringhe, la più promettente teoria del tutto che le è succeduta.

Luigi Alfonsihttp://researchgate.net/profile/Luigi_Alfonsi
Sono dottorando al Centre for Research in String Theory della Queen Mary University of London e laureato in fisica teorica all'Imperial College London. La mia ricerca riguarda le strutture geometriche che sottendono le dualità della Teoria delle Stringhe.

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