Tra le caratteristiche che distinguono la specie umana da quelle animali, l’inclinazione a esplorare è possibilmente quella che più ci identifica ed affascina. A quale innovazione tecnologica dovremmo altrimenti attribuire il merito d’aver creato una coscienza di specie e un anelito alla crescita, se non al contatto (spesso conflittuale) tra differenti ambienti naturali, culture e popolazioni, che l’esplorazione genuinamente produce? Tuttavia, la pratica del leisure travelling, o viaggio di piacere, non affonda le sue radici nel nostro patrimonio genetico, piuttosto declina logisticamente lo spirito di un secolo, il ventesimo, saturo di avanguardie, rivoluzioni e conflitti, esasperato da un’irrefrenabile accelerazione tecnologica e rimescolato dall’intemperanza adolescenziale di civiltà per le quali il mondo si è fatto gradualmente più prossimo ed accessibile.
LO SPIRITO DEL NOVECENTO – Solo un secolo è passato, di fatto, da quando l’impresa del viaggiare incondizionatamente si vedeva riservata alla nobiltà, il cui presupposto economico permetteva di godere della confortevolezza che le moderne “carrozze” fornivano. Incubati in lussuosi salottini d’un treno espresso, o librati sui ponti di coperta di magnificenti transatlantici, i facoltosi, gli illustri veleggiavano attraverso mari e terre, ignari dell’influenza che le loro pionieristiche traversate avrebbero suscitato nelle successive decadi.
Sono gli anni del Titanic, affondato tra i ghiacci nel tentativo di dimostrare la fiera potenza e la sprezzante velocità che gli anni ‘10 europei esaltavano; della Normandie, di cui Adolphe Cassandre ritrarrà l’immacolato e solenne portamento; della Mauritania, detentrice per più di 20 anni del blue ribond (“nastro azzurro”) per la tratta più rapida attraverso l’oceano. I manifesti delle compagnie navali, soprattutto francesi, britanniche e italiane, mettono in mostra le meraviglie dei porti adriatici, le silhouette aguzze delle palme di Wakiki Beach, l’ultima danza notturna di due giovani amanti europei, accompagnata dai virtuosismi di un chitarrista indigeno. A vendere il viaggio è oltre tutto il sogno di un esotismo quasi cinematografico, intimo e classico, la cui esperienza caratterizzava gli individui dell’alta borghesia che mano a mano venivano inclusi in ciò che era esclusivo. L’industria dell’avventura era destinata a fiorire, nonostante i duri anni del primo conflitto mondiale.
Quello che non poté il primo, però, venne compiuto dal secondo. Allo scoccare della guerra, in pochi immaginano il peso, in carne e acciaio, che questa richiederà così al vecchio come al nuovo continente: la tecnologia e la ricchezza perdono le loro funzioni civili, confluendo nel sempre più estenuante sforzo bellico. Le navi da crociera si convertono in vettori militari, bersagliate dai cacciatorpedinieri nemici e spogliate dei loro ornamenti. I treni trasportano merci e uomini, non più storie di improbabili coincidenze tra una Marlene Dietrich e un Clive Brook in viaggio per Shanghai… Al termine delle ostilità, il panorama lunare delle infrastrutture e del parco navale Europei lascia poco spazio alle fantasie di esplorazione.
TECNOLOGIA E PACE AL SERVIZIO DEL TURISMO – Il bisogno ancestrale, però, permane. Già pochi anni prima del 1945, varie compagnie aeronautiche, (tra cui Lufthansa, la prima ad avere un logo) prevedono la domanda di trasporti che il connubio di pace ritrovata e sviluppo aviatorio provvederanno. A dare impulso alla nuova era del turismo sarebbe stata anche quella mescolanza forzata di confini e individui che avevano combattuto o erano emigrati in luoghi alieni a causa del conflitto, e che ora riportavano racconti, esperienze e linguaggi di società distinte, contribuendo all’internazionalizzazione occidentale.
In tempo inverosimilmente breve gli aerei, meno impegnativi da costruire e mantenere delle navi, si spogliano del manto scuro di strumenti bellici e conquistano il mercato dei trasporti. Una ad una, le compagnie navali dichiarano bancarotta. In pellicole come An affair to remember il cinema statunitense, adesso rilevante a livello globale, riprende gli ultimi sospiri di questi giganti marittimi e dei loro abitanti, misteriosi romantici, sospesi in un limbo di quieta decadenza, in un genere di viaggio che ora appare troppo, troppo lungo.
UNA NUOVA ESTETICA – Sebbene a scapito del sopracitato fascino, però, gli aerei pongono per la prima volta il mondo occidentale sul cammino di democratizzazione turistica di cui oggi godiamo i frutti. A cambiare è la stessa dimensione temporale del percorso, e di conseguenza la sua comunicazione ai consumatori: a essere pubblicizzati non sono la qualità effimera del tempo trascorso viaggiando o il fascino delle singole destinazioni, bensì il servizio che allevia il tedio del tragitto: capitani, cuochi e hostess in divise succinte, di cui si esaltano le doti lavorative quanto quelle naturali, sono messi in mostra a lato degli impeccabili interni di aerei come il Boeing 707, predecessore di quel 747 che negli anni ‘70 sarebbe stato il mattatore dei viaggi intercontinentali; l’estetica dei mezzi di trasporto gradualmente muta dall’austerità dignitosa delle imbarcazioni ad una giocosa reinterpretazione grafica che del viaggio suggerisce più che altro la semplicità.
In questo senso la Braniff International Airways, operativa fino al 1982, anticipa i tempi e opera un rebranding degno del design contemporaneo, colorando i suoi mezzi di varie tinte unite differenti, una soluzione dedicata specialmente ai frequent flier, stanchi di volare ogni giorno in un aereo sempre uguale. In seguito l’artista Alexander Calder, disegnerà il Flying Colors, immediatamente divenuto icona per il suo aspetto bizzarro ed amichevole e vero antenato, in merito a comunicazione visiva, di compagnie come Vueling ed Easyjet.
LA DEFINITIVA DEMOCRATIZZAZIONE – Negli anni 70, l’accessibilità al “viaggio di piacere” diviene quasi universale. Le mete più pubblicizzate in America del Nord sono Miami, Las Vegas, Hawaii, tutte facilmente raggiungibili in poche ore. La florida economia statunitense favorisce la creazione di una rete di aeroporti capillare e la Route 66, creata nel lontano 1926, lascia spazio all’Interstate Highway System. Inghilterra e Francia introducono il Concorde, lancia aerea capace di toccare Mach-2 (due volte la velocità del suono), rimarrà in servizio fino al tragico incidente del 2000, nuovo Titanic di quest’epoca aero-turistica. La velocità è la qualità più desiderata, e il traffico aereo supera il 75% di quello complessivo, collegando finalmente la terra in un gomitolo di rotte giornaliere, di corriere terrestri.
Poco è cambiato da allora: Le compagnie low cost hanno fatto la loro comparsa e la sovrabbondanza di cherosene ha drasticamente ridotto i costi degli spostamenti, eppure l’estrema velocità di raggiungimento delle destinazioni, di cui pare si sia pervenuti al limite asintotico, non sembra aver soddisfatto l’uomo, che anzi lamenta lo straniamento dovuto a cambi così rapidi di scenario. Oltretutto, la presunta inutilità di una “camera di depressurizzazione” al cui interno venga speso il tempo necessario a comprendere le implicazioni di un passaggio fisico obbliga a progettare gli spazi portuali di oggi come semplici luoghi di transito, neutrali ed utilitari checkpoints che poco serbano dell’incanto escursionistico.
E ORA…? – Se le distanze terrene si sono accorciate così tanto, quindi, c’è da chiedersi se non sia tempo per un passo più lungo, per una “traversata” che ci riporti all’ignoto, alla meraviglia ed alla contemplazione caratteristiche del viaggio stesso.
Quale sarà il nuovo oceano, il nuovo baratro, la nuova scommessa? Quale destinazione vedrà i suoi pionieri lottare per la corsa ad essa, spingendoli ad osare mezzi sempre più imponenti, veloci e tecnologicamente avanzati, nel tentativo di espandere l’eden umano oltre i confini del nostro tempo biologico?
Sicuramente Elon Musk a volte se lo domanda…