Il David di Bernini in Galleria Borghese: autoritratto di un genio

Avete presente il genio incompreso, povero e dimenticato? Niente di tutto questo. Gian Lorenzo Bernini ha vissuto un’intera vita sulla cresta dell’onda. Conosciuto fin dall’adolescenza e richiestissimo da papi e cardinali, ha goduto della massima libertà di azione e ha rivoluzionato la scultura del suo tempo nella percezione dei materiali, nella sperimentazione dinamica, fino ad alcune invenzioni che potremmo già sbilanciarci a chiamare impressioniste. Tutto questo è contenuto in nuce in una delle opere più iconiche di Bernini, il David, conservato in uno dei più interessanti musei di Roma: la Galleria Borghese.

La collezione Borghese e ciò che ne rimane

Nel 1607 il cardinale Scipione Borghese iniziò i lavori per la realizzazione di una maestosa villa in un antico possedimento di famiglia. Era una sontuosa magione di campagna, con giardini segreti, un teatro, una grotta per i vini, una vigna, e animali dappertutto, uccelliere, “gallinari”, un recinto per le fiere. Ciò che doveva meravigliare maggiormente gli avventori, tuttavia, era la collezione di pitture e sculture che il Cardinale andò componendo all’interno della palazzina.

Alla morte di Scipione, nel 1633, la collezione era conclusa e molto più vasta di quella che vediamo attualmente. Comprendeva, tra le altre cose, una serie di marmi antichi che ora si trova al Musée du Louvre. Napoleone l’aveva voluta fortemente a Parigi, per contribuire a legittimare in immagini la sua discendenza dagli imperatori romani.

Quando, dopo la Restaurazione, Antonio Canova andò a trattare per il rimpatrio delle opere italiane, per la collezione classica dei Borghese non potè fare nulla: Napoleone l’aveva regolarmente comprata a Camillo Borghese, al tempo suo cognato, e in cambio aveva fatto scolpire dallo stesso Canova il ritratto della sorella Paolina, moglie di Camillo: la famosa Paolina Borghese, appunto.

Dei marmi moderni, invece, Napoleone non si curò. Troppo arditi, troppo barocchi, troppo papali. Non espatriarono, quindi, i gruppi scultorei del giovane Gian Lorenzo Bernini, che ora costituiscono il fulcro delle prime sale al piano terra della Galleria Borghese.

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Villa Borghese. (MIBACT)

La prestigiosa commissione del David: Bernini e la Galleria Borghese

Gian Lorenzo Bernini aveva circa 24 anni quando il cardinale Alessandro Peretti gli commissionò un David per la sua Villa Montalto, un’estesa dimora cinquecentesca che sorgeva dove ora vediamo la Stazione Termini. Con la morte di Alessandro, nel 1623, la commissione passò nelle mani di Scipione Borghese. Per qualsiasi altro artista, il tema del David avrebbe rappresentato una sfida troppo audace, non si poteva che chiamare in causa i capolavori di Michelangelo e di Donatello.

Bernini era assolutamente certo di poter vincere poiché era forte della stima, prossima a diventare venerazione, di numerosi cardinali e la bellezza di ben due pontefici, quasi tre. Pur essendo giovanissimo, infatti, aveva già firmato un Nettuno e Tritone per la stessa Villa Montalto (ora al Victoria & Albert Museum di Londra), i gruppi Enea, Anchise e Ascanio e il Ratto di Proserpina per il cardinal Borghese. Senza dimenticarsi non d’uno, ma ben due ritratti di papi a firma Bernini: il piccolo e prodigioso busto di Paolo V, ancora in Galleria Borghese, e quello di Gregorio XV Ludovisi volato a Toronto.

Per ringraziarlo del ritratto, il secondo pontefice volle conferirgli la croce di Cavaliere di Cristo: aveva solo 23 anni, e già si faceva chiamare Cavalier Bernino. Un significativo aneddoto racconta invece di come, per poter godere della sua compagnia, il cardinale Maffeo Barberini e futuro papa Urbano VIII fosse costretto a reggergli lo specchio mentre lo scultore era intento ad autoritrarsi. L’opera in preparazione da Bernini sembra essere proprio il David di Galleria Borghese.

L’amore sperticato dei potenti verso gli artisti non era soltanto amore per la bellezza, anzi. La Chiesa aveva bisogno di immagini per veicolare la sua idea di grandezza e di fatto giustificare la sua opulenza. Gli artisti erano la chiave prediletta per quella che ora chiamiamo “comunicazione” e che una volta si chiamava “fama”. Si era sempre alla ricerca di nuovi Michelangelo per essere consegnati alla futura gloriosa memoria del mondo, e Gian Lorenzo era perfetto per questo: giovane, spregiudicato, ambizioso, bravissimo.

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G. L. Bernini, Nettuno e Tritone, ca. 1622, Londra, Victoria and Albert Museum. (Wikimedia Commons)

La posizione: una sfida aperta ai classici del Rinascimento

Poiché era stato ampiamente osannato fin dai suoi esordi, sembrò assolutamente naturale che Bernini scegliesse la propria immagine per dare un volto a David, il ragazzino che riuscì a sconfiggere il gigante Golia con l’astuzia e la precisione della sua fionda. Già nell’ardita posizione del soggetto si legge una dichiarazione programmatica di quella che sarà da lì in poi la ruggente carriera dello scultore.

La differenza rispetto ai suoi modelli è sostanziale: Donatello aveva scelto il momento in cui un David già vittorioso poggia il piede sulla testa del Golia sconfitto. È la vittoria della ragione sulla natura ferina dell’avversario. Michelangelo, invece, costretto da un blocco di marmo già sbozzato e abbandonato perché troppo instabile e stretto, condensò magistralmente l’azione in una potenza d’azione, nascondendo l’arma dietro la schiena e scoprendo i tendini tesi del braccio e del collo del David.

Bernini scelse invece il culmine di un’azione dinamica: allargò le gambe del giovane prendendo a riferimento non più, come gli altri, il Doriforo di Policleto, statico e ponderato, ma piuttosto i dinamici Dioscuri che il papa Sisto V – Peretti come il suo primo committente Alessandro – aveva fatto collocare in Piazza del Quirinale. Nella parte superiore del corpo riprese e ampliò la torsione che aveva già sperimentato del Nettuno: il braccio sinistro si allunga verso destra fino a innescare una torsione della schiena. In ultimo, lo sguardo corrucciato e concentrato scocca come una freccia in alto, verso sinistra, restituendo equilibrio alla posizione e sottintendendo il secondo protagonista della storia, l’assente Golia.

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Fontana dei Dioscuri, Roma, Piazza del Quirinale. (Wikimedia Commons)

La lira e l’armatura: due elementi autobiografici

Non era pensabile che una posizione così ardita si reggesse da sola, e infatti lo scultore si aiutò con due elementi esterni. Sul piedistallo appoggiò una lira, un’allusione al futuro da poeta e cantore del re David. Bernini conosceva bene la potenza delle belle parole: scrisse di sua mano diverse opere teatrali, per le quali non mancò di inondare un proscenio facendo scappare le prime file di spettatori per la paura, e dare fuoco a un carro in scena per poi spegnere le fiamme e trasformare il tutto in un giardino.

Questo, però, sarebbe accaduto dopo. Ciò che invece era già accaduto era raccontato dalla pesante corazza di re Saul, padre di David, donata dal padre ma tolta dal figlio per essere più libero nei movimenti. Questa citazione biblica non era presente nei modelli scultorei precedenti. Il padre dalla corazza ingombrante era in questo caso metaforicamente il suo stesso padre, Pietro Bernini, scultore anch’egli.

Pietro era nativo di Firenze e si era spostato a Napoli dove Gian Lorenzo era nato e aveva imparato a scolpire fin da bambino. Si era trasferito a Roma sperando in commissioni più importanti, offrendo al figlio non solo una formazione precoce e di alto livello – Pietro era tra i migliori del suo tempo – ma anche una rarissima cultura iconografica “italiana” ante litteram.
Così Bernini, in una sola scultura, stava consapevolmente superando i mostri sacri dell’arte rinascimentale – e il suo stesso padre.

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G. L. Bernini, David, 1623-24, Roma, Galleria Borghese – particolare della fionda. (Flickr)

La resa materica e la tensione elastica

In cosa risiedeva, in definitiva, tutta questa leggendaria bravura del giovane scultore? A parte la completa padronanza delle proporzioni, basilare per qualsiasi bravo artista, Gian Lorenzo sapeva come stupire i suoi committenti. Mentre gli altri congelavano i diversi materiali nel marmo, lui sembrava plasmarlo fino a farlo diventare altri materiali. Si sarebbe visto al meglio nel gruppo dell’Apollo e Dafne, qualche anno dopo, dove le mani della ninfa passano da essere carne a essere arbusto: l’artista giocava a piegare il materiale eterno per eccellenza all’imitazione dei materiali deperibili, come il legno, la pelle, la stoffa.

Nella sua prima opera autonoma, il San Lorenzo ora agli Uffizi, si era cimentato addirittura con le fiamme, mentre nel David si concentrò sulla resa materica della saccoccia di pelliccia e della fionda di corda. Nel particolare della fionda, Bernini si spinse addirittura oltre, cercando di scolpire nella pietra l’elasticità di una corda tesa. Prima di allora, solitamente, per la rappresentazione delle corde ci si affidava a inserti in bronzo o altro materiale: Gian Lorenzo ne fece invece il perno dell’azione. Non smise mai di ricercare sulla rappresentazione della tensione, che si ritrova nelle sue opere più spettacolari.

I quattro angeli sopra il Baldacchino di San Pietro sorreggono il pesante tendaggio sporgendosi e tirando proprio delle corde di bronzo. Infine, nella Fontana dei Quattro Fiumi in Piazza Navona, il Nilo gioca tirando il panno che gli copre la testa – simbolo del fatto che al tempo le sue sorgenti erano ancora sconosciute – e crea una delle figure più memorabili della storia dell’arte italiana.

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G. L. Bernini, David, particolare del volto – fotografia Archivio Alinari – Fondazione Federico Zeri
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G. L. Bernini, David, particolare del volto – fotografia Archivio Alinari – Fondazione Federico Zeri

L’impressione ottica della profondità dello sguardo

Oltre alla stupefacente resa materica illusionistica, il giovane scultore era maestro anche nella rappresentazione delle espressioni, studiata nei numerosi ritratti. In questo frangente, Bernini sapeva che, non essendo possibile riprodurre i colori di un volto nella pietra, bisognava ricorrere a espedienti diversi. Ai suoi biografi diceva che non poteva rimanere fedele alle semplici fattezze tattili, per la stessa ragione per cui se un uomo si imbianca il viso non è più simile a se stesso. Per rendere il livido che alcuni hanno intorno agli occhi, per esempio, bisognava scavare a fondo e cercare un’impressione di ombra.

La stessa tecnica utilizzò per riprodurre il proprio volto in quello del David.
Che viso aveva il giovane Bernini, cosa vedeva in quello specchio retto dal futuro papa Urbano VIII? Certamente uno sguardo penetrante: «con un temperamento tutto fuoco. Il suo viso ha qualcosa dell’aquila, in particolare negli occhi.» scrisse Paul Freart de Chantelou. Se ci posizioniamo lateralmente, infatti, l’incavo degli occhi ci sembra esagerato, quasi sproporzionato. Soltanto da una visione centrale l’effetto dell’ombra è naturale e intenso.

Effettivamente la scultura era pensata per essere addossata a una nicchia ed essere vista, quindi, principalmente di fronte. Non fermandosi all’imitazione del naturale, Bernini si spinse oltre e trovò la naturalezza dell’impressione ottica. È una linea artistica che duecentocinquant’anni più tardi diventerà la bandiera dell’Impressionismo in Francia. Potrebbe essere complesso parlare di pre-impressionismo in scultura, ma se ci spostiamo al piano di sopra a dare un’occhiata ai dipinti di Gian Lorenzo – agli autoritratti ma soprattutto al misterioso Ritratto di Ragazzo – il cerchio si chiude. La pennellata è rapida, densa di colore, impressionistica, quasi un Renoir.

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G. L. Bernini, Ritratto di fanciullo, Roma, Galleria Borghese. (MIBACT)

Fonti cartacee:

  • Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernino scultore, architetto, e pittore, Firenze 1682.
  • Domenico Bernini, Vita del cavalier Gio. Lorenzo Bernino, Roma 1713.
  • P. F. de Chantelou, Viaggio del cavalier Bernini in Francia, Palermo 1988.
  • Elisabetta di Stefano, Antinomie del classico. Boselli, Bernini e Winckelmann, Palermo 2006.
Elena Ramazzahttp://www.artblitz.it
Sono laureata in Storia dell'Arte all'Università di Firenze e in Arti Visive all'Università di Bologna. Accompagno le persone a scoprire l'arte e scrivo di come questa può influire sulla vita contemporanea.

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