Il femminino in Evangelion. Non sempre donna e madre sono la stessa cosa

Attenzione: il seguente articolo contiene spoiler su Neon Genesis Evangelion.

Non si tratta del solito articolo-accusa al recente e criticato adattamento di Neon Genesis Evangelion firmato da Gualtiero Cannarsi. Eppure appare quasi impossibile non partire proprio da questo trending topic, scusa per molti per riguardare per l’ennesima volta l’opera di Hideaki Anno, prima in “Netflixiano” e poi in italiano. Così, giusto per unirsi al popolo dell’internet quantomeno con cognizione di causa.

Dagli apostoli di Cannarsi all’inadeguatezza di Anno

Ma, come detto poc’anzi, non parleremo di come shito (使徒) sia stato tradotto (giustamente, ma non efficacemente) in “apostolo” anziché “angelo”, perché il povero Cannarsi, tra le varie live in cui ha dovuto difendersi (e di questo tocca dargliene atto, ha avuto molto coraggio) ci tiene a parlarci anche della famosa sigla: Zankoku na tenshi no tēze, letteralmente La tesi dell’angelo crudele. Perché allora proporre a un pubblico estremamente drogato di nostalgia un termine diverso da “angelo”?

Semplice: perché secondo Cannarsi la tesi dell’angelo crudele non si riferisce ai piani extraterrestri o cabalistici degli enormi mostri nemici della serie, quanto all’uomo stesso e alla sua eterna maledizione di teorizzare la propria estinzione nella speranza di evolversi. Un punto di vista decisamente interessante, non c’è che dire. Neon Genesis Evangelion, come tutti noi sappiamo, non parla dell’uomo contro il divino o contro l’ignoto, ma dell’uomo contro sé stesso, una frase tanto banale quanto specifica.

Ma, all’ennesima visione, questa massima appare molto limitante e limitativa, sia in ordine di pensiero critico che in ordine concettuale. È facile leggere l’opera di Anno con occhi pervasi da un filtro VHS di Instagram, senza rendersi conto che anche Evangelion può e deve essere letta in maniera diversa a seconda del periodo sociale in cui viene affrontata in quanto opera. In fondo ce lo dice anche Ryoji Kaji, personaggio tra i più affascinanti e misteriosi della serie, durante il famoso epilogo in cui Shinji, il protagonista, fa i conti con sé stesso e gli altri: «Esistono tante verità quante sono le persone».

Questo non nega al “nostalgico” la possibilità di cogliere i risvolti psicologici e comportamentali sin dall’inizio. Tutta la filmografia di Anno, comprese le sue opere in live action, è costellata di personaggi archetipo della sua mente ma tra tutti spicca l’“inadeguato”, specchio della società giapponese e di coloro che sono inadatti, più per scelta che per bisogno, alla vita comunitaria. Insomma, Anno ha voluto lanciare un messaggio a una determinata cerchia di persone tramite il medium a loro più congeniale, l’animazione.

Ci piace pensare che Evangelion non sia altro, quindi, che un invito ai ragazzi fragili e indifesi in giro per il mondo a uscire di casa, a scontrarsi con gli altri, e imparare ad apprezzare il dolore. Anno è stato un otaku e sa benissimo cosa voglia dire essere visto in maniera diversa, o magari allontanato. In Giappone il termine otaku ha sì valenza di collezionista o fan sfegatato di manga/anime ma anche qualcosa di oscuro, spesso da cui stare alla larga. Tutti elementi egregiamente dipinti dalla Gainax in Otaku no video, film cult della casa di produzione fondata da Anno nel 1984, o nello sperimentale Love & Pop, regia dello stesso Anno.

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Misato, Rei e Asuka, le tre donne che gravitano attorno a Shinji Ikari. (GAINAX)

Evangelion e il femminismo: una visione attuale

Cosa si intende con la volontà di scoprire Evangelion a seconda dell’epoca in cui viene fruito? Semplicemente leggere l’opera non solo con i propri strumenti critici, ma anche con le lenti attraverso cui la società ci viene mostrata, in questo caso la nostra e nello specifico la fine degli anni Dieci. Sotto questo aspetto Neon Genesis Evangelion può diventare di diritto un capolavoro femminista. Sì, perché il dilemma principale di Hideaki Anno, oltre a quello dell’evoluzione del suo protagonista attraverso sé stesso e lo scontro con gli altri, è quello di capire se potrà mai esserci vera comunicazione tra uomo e donna.

Shinji Ikari, forse tra i più profondi e sfaccettati protagonisti dell’animazione giapponese, vive la sua odissea continuamente circondato da donne. Lo stesso EVA-01 altri non è che il risultato del lavoro della defunta madre e ne rappresenta (anche biologicamente) le spoglie. Ogni volta che Shinji sale sull’ EVA sente l’odore, la sensazione di stare vicino ad una madre; l’LCL che viene usato per connettersi in maniera neuronale all’EVA potrebbe essere un lontano parente di quel caldo liquido amniotico che ci ha cullati fino alla nascita.

Difatti, ogni volta che Shinji esce dall’EVA è una persona nuova, perché vive continue nascite e con esse i traumi che ne conseguono. Ma non è tutto: anche le tre protagoniste femminili – Rei, Asuka e Misato – provano a guidare il ragazzo e, nonostante tutto, indagare sulle proprie fragilità. Un lavoro bivalente rispetto a quello dei ruoli maschili invece totalmente proiettati su loro stessi. Questa sorta di incomunicabilità tra uomo e donna si accentua con la difficoltà della donna stessa nel capire e percepire il proprio ruolo in un ambiente a lei così ostile, divise e combattute tra i ruoli che la società ha imposto loro.

Misato Katsuragi deve scegliere se essere un capitano responsabile o arrendersi ai piaceri della vita; Asuka Langley Soryu è in continuo travaglio tra l’idea di una mentalità adulta rispetto al suo corpo, e un carattere spesso infantile, che quasi regredisce tal volta a quello di una bambina di cinque anni quando si trova in difficoltà (e qui non possiamo non citare la somiglianza con il cinico HAL 9000 di kubrickiana memoria che, un momento prima di essere neutralizzato, inizia a cantare una filastrocca per bambini, un po’ come la ragazza nei momenti più cruciali e crudeli della sua vita). E Rei Ayanami? Rei Ayanami è il complesso edipico di Shinji Ikari, il premio da raggiungere dopo aver spodestato il padre, Gendo Ikari. La ragazza è stata infatti creata dal padre di Shinji ad immagine e somiglianza della madre.

L’anima di una donna, madre e scienziata – in continuo bilanciamento all’interno di un supercomputer. (GAINAX)

Donna, madre e scienziata

Ma qual è il vero scopo del ragazzo? Nell’ultima puntata Shinji tira le somme: tra le varie conclusioni, forse, la più importante è la consapevolezza di poter prendere coscienza di sé solo attraverso gli altri. Impossibile, in altre parole, vivere in solitudine. Jacques Lacan ne parlava con la teoria dello specchio, Anno lo specifica attraverso il binomio uomo-donna. D’altronde chi è il primo essere umano con cui veniamo a contatto? Ovviamente nostra madre. È lei il nostro primo passaggio per l’esistenza, sia fisica che spirituale.

Ma c’è una quarta donna altrettanto importante, forse non collegata direttamente a Shinji ma altrettanto chiave per la totale comprensione da parte dello spettatore: Ritsuko Akagi. Figlia di Naoko, la quale creò il super computer Magi System e scienziata della Nerv, si porta dietro la maledizione della madre, donna innamorata di Gendo Ikari e spesso sfruttata dallo stesso.

Anche la figlia, come scopriamo più avanti nella serie, si è concessa al padre di Shinji ma la sua peculiarità è forse quella di essere, tra le quattro donne protagoniste, quella sicuramente più matura e più consapevole delle proprie capacità, in parte grazie alla madre e al Magi System. Nella tredicesima puntata scopriamo infatti che la madre di Ritsuko ha inserito parti della propria personalità nei tre super computer. La lei in quanto scienziata, la lei in quanto madre e la lei in quanto donna.

Queste tre sfere sono in perenne conflitto tra di loro e si bilanciano per supportare insieme lo stesso sistema. Non è un caso che durante l’attacco hacker dell’angelo sia stato il computer che la rappresenta in quanto donna ad aver avuto la meglio, come a sottolineare la potenza e la capacità di miglioramento di un essere privo di doveri verso chiunque altro, siano essi doveri sociali/scientifici o materni verso un altro essere umano.

Donna in quanto donna quindi, che può essere tutto ma può anche scegliere di non essere nulla, senza però privarsi della forza generatrice che le appartiene. La presente riflessione riflette solo una piccola percentuale del valore effettivo dell’opera di Anno e può anche essere totalmente falsa e pretenziosa, banale e inefficace. D’altronde rappresenta la visione del mondo di chi ha scritto queste righe, una visione parziale in confronto alla moltitudine di esistenze su questo pianeta. Non esistono interpretazioni sbagliate, ma solo la paura di trovarle tali.

Michele Granata
Classe 1992. Dopo la laurea in Filosofia alla facoltà degli studi di Padova con una tesi sull’Immagine-Movimento di Gilles Deleuze e le sue implicazioni concettuali in ambito filosofico si trasferisce a Roma e completa gli studi con la laurea magistrale in Cinema, Televisione e Produzione multimediale all'università di Roma Tre. Dopo svariati lavori sui set inizia la sua esperienza da regista autodidatta e sceneggiatore tra piccoli spot, videoclip e cortometraggi. È fondatore di una piccola casa di produzione indipendente, La Ricotta Produzioni.

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