Caravaggio, o come essere un artista “pop” dopo quattro secoli

Michelangelo Merisi da Caravaggio ha sempre suscitato un interesse universale per la sua pittura, iniziato quando le sue opere erano svelate, appena terminate, tra gli “schiamazzi” del popolo, e proseguito quasi ininterrottamente fino all’ultima mostra appena conclusa a Milano, i cui biglietti erano introvabili già a parecchie settimane dalla chiusura.

Questo successo non era e non è dovuto soltanto allo straordinario impatto estetico della sua opera, ma anche al ruolo attivo che Caravaggio affida alle fasce più povere della popolazione. Il popolo si fa attore e pubblico di uno spettacolo sacro e solenne, rispondendo a un bisogno collettivo di protagonismo che era allora caldeggiato dalla Chiesa e che oggi è tornato attuale, rispecchiato anche in altre forme artistiche.

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Caravaggio, “Giuditta e Oloferne” (particolare), Palazzo Barberini (Roma), 1598-99.

CARAVAGGIO PITTORE POPOLARE – Per permettere la visita a coloro che da mesi non riuscivano ad entrare, la mostra “Dentro Caravaggio” è stata prolungata di una settimana soltanto per i singoli visitatori, con orari di apertura che si sono spinti fino a tarda notte. Il successo di pubblico è stato enorme, più di 400.000 ingressi in poco più di quattro mesi (la Galleria Borghese in tutto il 2016 ne ha registrati circa 520.000), nuovo record di affluenza per un artista del Seicento. Più amate di lei, nella stessa sede, solo le esposizioni sugli Impressionisti e Pablo Picasso degli anni ‘90.

Eppure questo successo non ha destato stupore, nonostante si trattasse di dipinti antichi, per lo più raffiguranti soggetti sacri: sulla grandezza di Caravaggio non ci sono dubbi, il suo nome è conosciuto da tutti, in Italia e all’estero, è ammirato dagli studiosi come dai digiuni di arte. È, in una parola, popolare. Il successo è stata una costante della sua fortuna critica, e diversamente da altre star della pittura come Vincent Van Gogh, Caravaggio divenne famoso già in vita.

Arrivato orfano dalla Lombardia a Roma, fu protetto da Francesco Maria Del Monte, uno dei cardinali più in vista di Roma, e dalla nobile famiglia Colonna durante la sua fuga verso Napoli.

Dopo la sua prima commissione importante a San Luigi dei Francesi, nel 1599, lo svelamento delle sue opere fu atteso nella Roma dell’epoca come ora si attende l’uscita del nuovo film di Tarantino. Il suo nome determinò uno stile, “caravaggeschi” furono decine di pittori, tra cui un buon numero spagnoli, francesi, olandesi e fiamminghi.

Aveva una particolare maestria di mano? Senza dubbio. Come molti artisti sanno, però, questa caratteristica necessaria spesso non è determinante per il successo. Caravaggio non era soltanto straordinariamente bravo nel suo mestiere di pittore; con un termine post Umberto Eco lo avremmo chiamato un maestro in “comunicazione”. Riuscì a creare un’aura di leggenda intorno al suo mestiere, dovuta non solo alla sua condotta singolare e trasgressiva, ma anche e soprattutto a un’arte diretta, comprensibile ed emozionante.

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Caravaggio, “Morte della Vergine” (particolare), Musée du Louvre, 1604.

IL LINGUAGGIO DIRETTO – Non si conquista il pubblico se non si parla la lingua del pubblico, e prima di essere popolare nella fama, Caravaggio lo fu nel linguaggio artistico.

La sua pittura era schietta e familiare, le scene rappresentate apparivano così reali che potevano essere accadute davvero, in una strada qualsiasi in un giorno qualsiasi di qualsiasi epoca. Persino i modelli per i suoi personaggi erano presi dalla strada, come in un film neorealista, tanto che ancora oggi ci appassioniamo alle vicende degli attori più a che quelle dei personaggi, come quella ragazza dai capelli rossi vestita da Vergine, morta “gonfia” di una morte tutt’altro che divina.

Persino le pose, nella loro teatralità, rivelano più verità che non quella pittura che tenta di annullarsi e farsi artificiosamente vita reale: con la loro fissità e innaturalità si confessano modelli di un pittore e contemporaneamente vere persone coinvolte nell’artificio della pittura.

Le mani hanno rossori più che reali, i corpi sono scolpiti dalla vita e dal lavoro. Per due volte subì critiche severe per aver mostrato piedi nudi e sporchi in primo piano, proprio sopra alle candele sacre degli altari: erano i piedi di Matteo nella prima versione di San Matteo e l’Angelo in San Luigi dei Francesi e quelli dei pellegrini nella Madonna di Loreto (o dei Pellegrini) nella Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio. “In Santo Agostino si offeriscono le sozzure de’piedi del Pellegrino” scriveva Bellori a proposito di quest’ultimo dipinto.

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Caravaggio, “Sette opere di misericordia” (particolare), Pio Monte della Misericordia (Napoli), 1607.

LA BELLEZZA ACCATTIVANTE DELLA LUCE – Nemmeno l’adesione alla realtà, però, riuscì da sola a determinare un successo così clamoroso. Già altri avevano portato le cose del popolo su una tela, ma furono ben lontani dal suscitare tanta ammirazione: a Cremona Vincenzo Campi guardava alle Fiandre e dipingeva pescivendoli e mangiatori di ricotta, a Bologna Bartolomeo Passerotti alternava i ritratti dei papi a scene di pescherie e pollivendole.

La vera novità del Caravaggio non fu quella di ritrarre soggetti poveri, ma il fatto che tali soggetti fossero destinati a figurare sugli altari delle cappelle. I vagabondi diventavano santi, le meretrici diventavano Madonne, e – questa fu la vera rivoluzione – la metamorfosi fu avvolta da un silenzio solenne. I popolani, ora diventati santi, ottenevano per la prima volta piena dignità, quasi una monumentalità.

Tecnicamente, questo effetto è ottenuto attraverso l’uso della luce, talmente inconfondibile e rivoluzionario da diventare una firma per Caravaggio e per tutti i suoi seguaci. Se la resa naturale dei corpi è presente sin dalle sue prime prove conosciute (Ragazzo morso dal ramarro, Bacchino malato), la regia luministica evolve sensibilmente di anno in anno, passando dall’illuminazione chiara e limpida tendente al color caramello dei primi dipinti, fino ad arrivare al grande fondo nero da cui emergono soltanto pochi particolari delle opere maltesi e napoletane degli ultimi anni (Pio monte della misericordia). Nei dipinti più maturi, i soggetti sono bagnati da una luce drammatica che focalizza l’attenzione su pochi e distinti concetti, di fortissimo impatto emotivo.

Lo spettatore aveva – e ha tuttora – una sorta di rivelazione davanti a un dipinto di Caravaggio: vi ritrova qualcosa di estremamente familiare (i piedi sporchi, i rossori, le posizioni innaturali scolpite dalla fatica), magistralmente reso importante, di più, reso santo, da una luce monumentale: per osmosi, è la sua stessa vita a prendere parte al grande spettacolo del sacro.

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Caravaggio, “Crocifissione di San Pietro” (particolare), Basilica di Santa Maria del Popolo (Roma), 1601.

PROTAGONISTA DEL SUO TEMPO – Dice un vecchio detto: “Se un albero cade in una foresta e nessuno lo sente, fa ugualmente rumore?”. Molto spesso si dà per scontata la genialità di Caravaggio come se fosse un dato universale, come se non fosse stato un uomo come tutti, calato in un tempo e in un’epoca.

Si dimentica che anche il suo pubblico era calato nella realtà, e che il successo il più delle volte corrisponde alla soddisfazione di un bisogno pubblico e sociale, come un grande sogno freudiano collettivo. Ammaliati dalla trasgressività della sua vita privata, si tende anche a dimenticare che le opere che noi consideriamo così controcorrente e rivoluzionarie furono commissionate da prelati e cardinali ed esposte e conservate per la maggior parte in chiese.

Caravaggio abitava a Roma a Palazzo Madama, al tempo casa di Francesco Maria del Monte, che, per quanto illuminato e sprezzante del pericolo di passare dei guai con l’Inquisizione – fu protettore anche di Galileo Galilei – era pur sempre un cardinale. Tra gli anni ‘90 del Cinquecento e i primi anni del Seicento la Chiesa era la più grande autorità in fatto di opinioni e la più importante influenza sul sentire comune, soprattutto in Italia, soprattutto a Roma, dove Caravaggio visse i suoi anni più intensi e dove, espulso, cercò disperatamente di tornare.

Possiamo dire che quei dipinti così nuovi e trasgressivi in realtà rispondevano in qualche modo a un obiettivo che vescovi, cardinali e prelati cercavano di raggiungere da molti decenni: la conquista del popolo.

Nel 1566 venne dato alle stampe un manualetto chiamato “Catechismo del Concilio di Trento”, che fu distribuito capillarmente a tutti i parroci di tutti le diocesi: semplice nel linguaggio, voleva dare istruzioni chiare affinché tutto il popolo della Chiesa comprendesse bene i dettami della nuova dottrina riformata e non si lasciasse più spazio ad altre dottrine, che potevano sfociare nell’eresia.

Qualche anno più tardi, nel 1582, fu stampato l’equivalente del catechismo per i pittori, i quali avevano il delicato compito di istruire il popolo attraverso il mezzo delle immagini. Il libro intitolava “Discorso sopra le immagini sacre e profane”, lo scrisse a Bologna il cardinale Gabriele Paleotti, e diventò una guida fondamentale per tutta l’arte da lì in poi.

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Caravaggio, “San Girolamo” (particolare), Galleria Borghese (Roma), 1605-06.

I concetti erano molto simili a quelli già espressi con il Catechismo: alla base di tutto doveva esserci un linguaggio semplice e un contenuto corretto, ma trattando di linguaggio artistico, e non di semplici sermoni, Paleotti si spinse ancora un po’ più lontano e esplorò anche il campo della persuasione:

“Quanto al proposito nostro, la pittura, che prima aveva per fine solo di assomigliare, ora, come atto di virtù, piglia nuova sopraveste, et oltre l’assomigliare si inalza ad un fine maggiore, mirando la eterna gloria e procurando di richiamare gli uomini dal vizio et indurli al vero culto di Dio.”

Attraverso il linguaggio e la capacità di suscitare emozione, quindi, la pittura ha ora il compito ben preciso di muovere il fedele alla devozione. È una novità assoluta, se si pensa che fino ad allora il compito della pittura veniva identificato con la creazione di immagini piacevoli, classificate per lo più sulla base della loro aderenza ai classici antichi e moderni come Michelangelo e Raffaello.

Caravaggio aveva mai letto il “Discorso” di Paleotti? Probabilmente no. Oltre alla parte in cui si parla di questo nuovo proposito dell’arte, infatti, Paleotti si dilungava in chiarissime spiegazioni sul concetto di “decorum” e su ciò che doveva o non doveva essere mostrato in una chiesa: senza dubbio non erano permesse prostitute vestite da Vergini, come nella Morte della Vergine del Louvre, o popolani analfabeti che scrivevano Vangeli, come nel San Matteo e l’Angelo berlinese, opere che furono, infatti, rifiutate dalle chiese a cui erano destinate.

Fu probabilmente a livello inconscio, quindi, che l’arte di Caravaggio rispose a un bisogno collettivo di chiarezza e di semplicità, di ritrovate emozioni. Forse non era l’obiettivo primario del Merisi, ma la sua opera contribuì di fatto a ridurre la distanza tra il popolo e l’istituzione della Chiesa.

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Il cantante Liberato, il cui volto è stato svelato solo nella terza stagione della serie Gomorra. (Rolling Stone)

LIBERATO, UN PARAGONE CONTEMPORANEO – Se il successo di pubblico nei contemporanei di Caravaggio può trovare una spiegazione nei cambiamenti istituzionali e sociali del tempo, come spieghiamo il suo successo ora?

Certamente la bellezza e la poesia non passano mai di moda, ma per quale motivo Caravaggio, e non altri, riscuote ancora così grande successo nel 2018? La risposta richiederebbe un’analisi approfondita del presente che non è fattibile in questo momento, ma una scintilla, forse, si può accendere.

Uno degli artisti che ha fatto più parlare di sé nell’ultimo anno si fa chiamare Liberato e non ha mai rivelato la sua vera identità. Si sa solo che i suoi pezzi sono straordinariamente orecchiabili e in lingua rigorosamente napoletana, la lingua forse più popolare di tutte, al momento. Nonostante questa vocazione “bassa”, i video delle sue canzoni sono tra i più interessanti tra quelli girati in Italia negli ultimi anni.

Si soffermano su immagini di una Napoli povera e nello stesso tempo sottilmente poetica. Gli attori sono giovanissimi, presi dalla strada come i modelli di Caravaggio, impegnati in attività quotidiane senza alcun intento di denuncia né tantomeno di derisione. Una dimensione popolare ritratta con la più piena dignità ed esaltata con mezzi estetici raffinati – l’ultimo video è girato in pellicola.

Come già accadeva per Caravaggio, a fare la differenza è la luce: mai eccessiva, morbida, celebra quei piccoli momenti di poesia calati nella realtà come le mezze luci dell’alba, le finestre semichiuse, le luci dei motorini.

Se è mantenuto rigorosamente il mistero sul nome del cantante, sappiamo bene chi è il regista: si chiama Francesco Lettieri, è napoletano di nascita e ha firmato la regia di molti dei video dei cantanti indie più popolari oggi (Calcutta, Motta, Giorgio Poi, Thegiornalisti), e dal 2015 lavora in coppia con Gianluca Palma alla direzione della fotografia, sostituito da Giuseppe Truppi per gli ultimi due video girati in pellicola.

Non è una produzione casuale, quindi, ma un’operazione calcolata, raffinata e anche costosa. A quali logiche risponda, quale sia la “Chiesa” che sta dietro a tutto, non è ancora dato saperlo. Nel frattempo possiamo ragionare sul fatto che anche oggi, come nel Seicento, la distanza tra il popolo e le istituzioni è qualcosa di estremamente sentito, e che i riflessi artistici di queste situazioni, siano essi “sozzure di piedi” e luci oscure caravaggesche, o immagini poetiche di una Napoli all’alba, registrano successi universali e sono sempre sorprendentemente emozionanti.

Fonti cartacee:

  • Gian Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma, 1672.
  • Giovanni Baglione, Le vite de’pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’tempi di papa Urbano VIII nel 1642, Roma, 1642.
  • Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane, Bologna, 1582.
Elena Ramazzahttp://www.artblitz.it
Sono laureata in Storia dell'Arte all'Università di Firenze e in Arti Visive all'Università di Bologna. Accompagno le persone a scoprire l'arte e scrivo di come questa può influire sulla vita contemporanea.

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