Domenica 23 aprile si terranno le elezioni presidenziali in Francia. Questa tornata apre un periodo in cui i francesi saranno letteralmente più spesso in cabina elettorale che a casa loro. Dopo il primo turno del 23 aprile, seguirà infatti il secondo turno che eleggerà il prossimo Presidente della Repubblica, con elezioni organizzate per il 7 maggio. Appena un mese dopo, l’11 di giugno, gli elettori dovranno tornare alle urne per votare per le elezioni legislative. Ma la Francia ha un sistema elettorale maggioritario con doppio turno anche per le elezioni politiche. In (molti) collegi si tornerà a votare quindi una settimana dopo.
Tutto doppio, insomma, in Francia. E per non saper né leggere né scrivere, anche il governo è “doppio”. A differenza di quanto affermano tanti volenterosi commentatori, la Francia non è una repubblica presidenziale, bensì semipresidenziale. La differenza (sostanziale) è nella presenza di un Primo Ministro, che viene nominato dal Presidente ma legato al Parlamento con il rapporto di fiducia. Si tratta però di un governo a due teste, perché il capo dell’esecutivo è sempre considerato il Presidente. Salvo casi di coabitazione, il vero deus ex machina della politica governativa è il Presidente eletto.
TUTTI QUANTI VOGLION FARE IL JAZZ – Questo sovraffollamento elettorale è figlio di una riforma costituzionale del 2000: l’Assemblea nazionale, e poi il popolo francese con referendum, hanno approvato una riduzione del mandato presidenziale da sette a cinque anni, per renderlo uguale alla legislatura parlamentare. L’obiettivo della riforma era di rendere meno probabili le coabitazioni tra parlamenti (e primi ministri) di un colore politico e presidenza del partito opposto, in questo simile alla riforma in Turchia della scorsa domenica. Questa volontà è confermata dalla decisione di porre le elezioni politiche un mese dopo quelle presidenziali, per avere un “trascinamento” di voti verso il partito del Presidente.
Andare a votare in quattro occasioni diverse in neanche un mese e mezzo potrebbe causare effetti collaterali, come emicranie (per la scelta del candidato giusto) e disgusto verso la cabina elettorale. L’unicità di questa tornata elettorale rischia però di aggravare i sintomi. Nella storia della Quinta Repubblica francese (iniziata nel 1958), infatti, le elezioni sono state una questione semplice: ci sono due poli tradizionali (gollisti e socialisti) che si spartiscono la stragrande maggioranza dei voti.
Dopo quarant’anni si apre la prima incrinatura: è il 2002 e per la prima volta non c’è un ballottaggio tra gollisti e socialisti: al posto della gauche ci sta infatti Jean-Marie Le Pen, padre di Marine e nonno di Marion, leader del Front National. Le Pen padre causa molto imbarazzo ai francesi, vista la sua attitudine a sminuire i mali della seconda guerra mondiale e a dichiarare che l’Olocausto sia un dettaglio. È la prima elezione rilevante dove entra in vigore il cd. “Patto Repubblicano”: i due poli tradizionali si schierano con l’altro per frenare l’ascesa del Front National. Jacques Chirac, candidato gollista, vincerà il ballottaggio con un roboante 82%.
Il patto repubblicano si è riproposto in numerose occasioni, da ultimo durante le regionali del 2015, dove il Front National, guidato ora da Le Pen figlia, è arrivato in testa al primo turno in metà delle regioni, per poi non riuscire a conquistarne nessuna.
LA RISCOSSA DEGLI SFAVORITI – I cittadini francesi potranno scegliere tra undici candidati. Sei di questi sono considerati minori, e combatteranno per il classico 1%. Due di questi candidati, Nathalie Arnauld e Philippe Poutou, fanno capo a movimenti di estrema sinistra: Arnauld appartiene a un movimento trotskista (Lotta Operaia), mentre Poutou a una formazione anarchico-marxista (Nuovo Partito Anticapitalista). Entrambi accusano l’altro di non essere abbastanza comunista. Tre candidati fanno parte della destra euroscettica e nazionalista: François Asselineau (Unione Popolare Repubblicana), Nicolas Dupont-Aignan (Alzati Francia), seguace di Nigel Farage, e Jacques Cheminade. Quest’ultimo è un seguace delle teorie del complotto e dell’attivista americano Lyndon LaRouche. Per intenderci, LaRouche nasce come marxista-leninista e si sposta sul nazionalismo spicciolo. L’ultimo candidato minore è il centrista Jean Lassalle.
Cinque candidati restano quindi in ballo per il ballottaggio per ottenere risultati apprezzabili: una quantità incredibile per un sistema quasi bipolare. I candidati dei socialisti e dei gollisti sono stati scelti attraverso primarie. I primi a organizzare le primarie furono i gollisti nel novembre del 2016. Sette i candidati, ma a aspirare alla vittoria sono solo in tre: l’ex presidente della Francia Nicholas Sarkozy, l’ex primo ministro e attuale sindaco di Bourdeaux Alain Juppé, esponente dell’area più centrista dei gollisti, e l’outsider François Fillon, vicino alle posizioni di Sarkò, per il quale è stato primo ministro.
Da subito si nota che qualcosa non quadra: Sarkozy viene sconfitto al primo turno, con Fillon che si installa immediatamente al primo posto e va al ballottaggio con Juppé. La settimana successiva, Fillon (accusato di essere un «reazionario medievale») sconfigge Juppé e si propone come il primo candidato tradizionale per tenere a freno le forze estremiste. Qualche giorno dopo la vittoria di Fillon, il presidente uscente Hollande decide di non ricandidarsi, anche a causa di un sostegno infimo da parte della popolazione.
I socialisti decidono quindi di organizzare le primarie dove si presentano sempre sette candidati. Anche qui la battaglia è a tre: l’ex primo ministro Manuel Valls, appartenente all’area più centrista del partito, e i frondisti Arnaud Mounteburg e Benoit Hamon, un po’ i Bersani e Civati di Francia. Anche qui si verifica l’incredibile: l’outsider Hamon sconfigge prima Mounteburg al primo turno e poi il favorito Valls al secondo. A sfidare Fillon e Hamon ci saranno Marine Le Pen, Jean Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale, e Emmanuel Macron, ex ministro dell’Economia nel governo Valls e leader del movimento centrista “En Marche!”.
MA COS’È LA DESTRA, COS’È LA SINISTRA? – La campagna elettorale si è incentrata su alcuni temi caldissimi: la sicurezza, l’immigrazione, l’Islam e il futuro dell’Unione Europea. Si tratta di temi che attraversano un po’ tutta l’Europa, vedi le recenti elezioni nei Paesi Bassi. Sicurezza e Islam sono in particolare al centro del dibattito francese a causa dei tristemente noti attentati di Parigi (novembre 2015) e Nizza (luglio 2016). Ma non sono gli unici temi fondamentali: la Francia, a differenza dei Paesi Bassi, ha un alto tasso di disoccupazione e una fragile crescita economica. Anche le tematiche del lavoro e delle tasse suscitano quindi interesse nell’opinione pubblica.
Partendo dall’Unione Europea, c’è da dire che c’è poca soddisfazione dei candidati (e della popolazione) verso la situazione attuale. I più critici sono di gran lunga Mélenchon e Le Pen: il primo reputa l’Unione Europea un fantoccio delle banche, mentre la seconda crede che la Francia sia indebolita dall’Unione, secondo una retorica nazionalista. Entrambi hanno proposto un referendum per l’uscita dall’Unione Europea e dall’eurozona in caso non riescano a rendere l’organizzazione più affine alle loro posizioni – ed è estremamente improbabile che l’Unione ceda.
Fillon e Hamon sono invece europeisti, ma con riserva. Fillon è contrario agli Accordi di Schengen, che permettono la libertà di circolazione degli individui nel territorio dell’Unione. Le ragioni? Troppa immigrazione dall’estero e il rischio di meno posti di lavoro per i francesi, oltre al terrore di importare terroristi. Hamon, invece, spingerebbe verso una democratizzazione dell’Unione Europea, dove oggi il Parlamento ha solo un ruolo marginale. L’unico attivamente europeista è Macron, che spinge verso una sempre maggiore integrazione tra gli stati.
Alcuni candidati propongono proposte radicali in politica estera, oltre all’uscita dall’Unione Europea. Solo Macron e Hamon sono fedeli alla linea atlantista contro la Russia. Inoltre desiderano rimanere all’interno della NATO, il fulcro della difesa del mondo occidentale, e hanno entrambi appoggiato i bombardamenti contro Assad, accusato di aver usato armi chimiche contro la sua popolazione. Sia Mélenchon, sia Le Pen sono contrari alla permanenza nella NATO, alle sanzioni contro la Russia, al bombardamento contro la Siria. Fillon ha quindi una posizione intermedia, auspicando migliori rapporti con la Russia ma rimanendo all’interno del fronte atlantista.
Parlando di immigrazione, Hamon si spinge verso una politica d’asilo più inclusiva, che preveda la possibilità per i rifugiati di lavorare immediatamente e di avere lezioni di francese gratis. Macron si limita a auspicare una politica migratoria comune per tutta l’Unione Europea, per evitare che alcuni Paesi del sud Europa (Grecia e Italia soprattutto) abbiano una quota sproporzionata di rifugiati. Fillon e Le Pen desiderano un tetto massimo all’immigrazione straniera, che per Le Pen non deve addirittura superare i diecimila ingressi. Mélenchon, infine, ha una posizione ambigua: non si è espresso su un cambiamento delle modalità d’immigrazione, ma ha porto i suoi omaggi alle vittime dei barconi nel Mediterraneo. Allo stesso tempo, sembra che il leader non provi grande affetto verso gli immigrati, rei di togliere il pane di bocca ai francesi. Un’interpretazione revisionista dell’internazionalismo socialista.
E quali sono le proposte per l’economia? Il punto di partenza è la rinegoziazione degli orari di lavoro. In Francia la settimana lavorativa è trentacinque ore, mentre in Italia i dipendenti pubblici lavorano trentasei ore e i lavoratori privati quaranta. Hamon e Mélenchon propongono di ridurre la settimana lavorativa a 32 ore, mentre Le Pen e Macron non sono contrari a mantenere una settimana a 35 ore, salvo accordi con le parti sociali e tentativi di flessibilità. Fillon è il più radicale: abolizione del limite vigente e una liberalizzazione del contratto di lavoro, in cui l’orario sarebbe deciso tra dipendente e datore di lavoro. Inoltre, Fillon vorrebbe vedere i lavoratori pubblici in ufficio per trentanove ore alla settimana, nell’ambito di una campagna elettorale contro i “fannulloni che lavorano nel pubblico”.
Anche il ruolo del settore pubblico è un tema contrastato della campagna elettorale. Nel paese ci sono infatti oltre cinque milioni di dipendenti pubblici, pari a un quinto della popolazione lavoratrice. Fillon, da buon conservatore, vorrebbe ridurre i posti nel pubblico di un buon 8%, vale a dire circa cinquecentomila esuberi. Il risultato sarebbe ridurre la spesa pubblica di circa cento miliardi in cinque anni. Anche Macron, da buon liberale, vuole ridurre i dipendenti pubblici, ma in numeri decisamente minori rispetto a Fillon. Il risultato? Un risparmio di sessanta milioni di euro. Al contrario, Mélenchon e Hamon sarebbero propensi a nuove assunzioni nelle pubbliche amministrazioni. Le Pen è favorevole a un mantenimento dello status quo.
Non solo durante, ma anche dopo il lavoro: cosa ne pensano i candidati dell’età pensionabile, oggi fissata a sessantadue anni? Le Pen e Mélenchon sono ancora uniti: entrambi desiderano abbassare l’età pensionabile a sessanta anni. Hamon e Macron vogliono mantenere lo status quo, mentre Fillon vuole chiedere ai cittadini di lavorare tre anni aggiuntivi, per arrivare a un’età di sessantacinque anni.
Tutte le proposte su lavoro e pensioni hanno però un effetto sulla spesa pubblica, per cui tutti i candidati hanno spiegato chiaramente come pensano di cambiare la tassazione. Macron, soprannominato ormai il Renzi di Francia, vuole tagliare l’IMU francese, ridurre le tasse alle imprese. Contemporaneamente ha proposto di predisporre cinquanta miliardi di euro per la formazione al lavoro e per nuove infrastrutture. Inoltre, occhiali, dentiere e apparecchi acustici saranno gratis e ai diciottenni sarà corrisposto un bonus cultura di 500€. Forse il soprannome ha un senso.
Marine Le Pen ha impostato la questione delle tasse con punizioni verso le imprese francesi che producono all’estero (con dazi d’importazione) o che assumono individui non francesi (con tasse più alte per le imprese del 10%). Inoltre, Le Pen propone un‘abbassamento del’IRPEF francese (l’imposta sul reddito) per i ceti più poveri. Mélenchon ha affermato di voler alzare le tasse sulla ricchezza per coloro che guadagnano più di 35000 euro all’anno. Fillon vuole eliminare la tassa sulla ricchezza (ISF) e ridurre la tassazione delle imprese per un totale di 40 miliardi di euro. Hamon, infine, suggerisce una novità assoluta: la tassazione sui robot. Con l’aumento delle tasse, il leader socialista propone di finanziare un reddito di cittadinanza per tutti i francesi che guadagnano meno di 2000 euro al mese.
È infine interessante vedere come, a differenza dell’Italia, in Francia non si tratti molto del problema delle istituzioni. Mélenchon è colui che ne ha parlato di più, auspicando una nuova Costituzione che dia più poteri al Parlamento. Verrebbe quindi accantonato il semipresidenzialismo. Hamon e Le Pen, inoltre, auspicano un nuovo sistema elettorale di tipo proporzionale. Peccato che si ritroverebbero in una situazione all’italiana senza italiani a guidarla.
LE COSE NON VANNO MAI COME CREDI – Se si trattasse di un’elezione normale, sarebbe immaginabile un ballottaggio Hamon-Fillon. Ma Hamon parte penalizzato nella sua corsa all’Eliseo in quanto socialista, e non importa che sia lontano dalle posizioni di Hollande. Era quindi ampiamente pronosticato il mancato raggiungimento del ballottaggio, anche se nessuno si immaginava un tracollo così marcato: Hamon sarà probabilmente solo il quinto candidato e la sua percentuale di voti si aggira su un deprimente 8%. Già a dicembre, quindi, era prevedibile un testa a testa tra Fillon e Marine Le Pen, in testa alla classifica dall’inizio degli attentati in Francia. Fillon poi avrebbe battuto la Le Pen al ballottaggio, grazie al patto repubblicano.
Ma se Atene (i socialisti) piange, Sparta (i gollisti) non ride. Questo perché Fillon è invischiato in un enorme scandalo familiare. Sua moglie, la gallese Penelope Clarke, è stata accusata di aver ottenuto quasi un milione di euro grazie a degli impieghi parlamentari fittizi. In pratica, il marito la pagava come assistente, ma lei non c’era e non faceva niente (che fa anche rima). E anche i figli avrebbero ottenuto pagamenti per consulenze come avvocati quando non si erano ancora laureati. In più, Fillon aveva annunciato il suo ritiro in caso di indagini su di lui, per poi ritrattare come un Berlusconi qualunque
Peraltro Fillon non è l’unico a dover combattere con uno scandalo di rimborsi. Anche Marine Le Pen è sotto inchiesta per aver sottratto trecentomila euro al Parlamento europeo. Le Pen è infatti europarlamentare, secondo una deprecabile tendenza che vede i leader antieuropeisti trovare un posto (e farsi pagare) presso le istituzioni europee. La sua guardia del corpo Thierry Légier e il capo dello staff Catherine Griset erano stati infatti assunti e stipendiati dal Parlamento Europeo come assistenti della Le Pen a Bruxelles. Ma se il “Penelope-gate” sta affossando la candidatura di Fillon, che si aggira al terzo-quarto posto con il 19%, non è lo stesso per Le Pen, accreditata del secondo posto con circa il 22,5%.
A sfidarsi all’ultimo voto per accedere al ballottaggio sarebbero Marine Le Pen e Macron, che al momento dovrebbe passare al ballottaggio come primo, con il 23,5% dei voti. Ma anche Mélenchon è in grande spolvero e battaglia con Fillon per il terzo posto. A aumentare la popolarità del candidato di sinistra è stato l’uso di ologrammi per tenere un evento elettorale in diverse città francesi in contemporanea. Il patto repubblicano, quindi, non s’avrebbe da fare. La scelta potrebbe risultare tra il nemico storico (Le Pen), un comunista no-global e Macron, per cui Hollande sta incrociando le dita in silenzio per non rischiare di fargli perdere voti.
Al ballottaggio, però, potrebbero anche arrivare Fillon e Mélenchon, perché il margine di vantaggio di Le Pen e Macron è molto ridotto, c’è un errore statistico abbastanza elevato (attorno al 2%) e perché gli elettori possono ovviamente cambiare idea nella cabina elettorale. In ogni caso, sono state fatte previsioni diverse di ballottaggio con i diversi candidati. È interessante notare che Macron batterebbe ciascuno dei suoi avversari, mentre Le Pen non avrebbe alcuna possibilità di vincere, neanche contro Mélenchon o Fillon. In caso di un’improbabile ballottaggio tra Mélenchon e Fillon, sarebbe il primo a prevalere. Ma la battaglia resta aperta, anche perché non si può prevedere bene lo spostamento di voti tra il primo e il secondo turno: dare Le Pen per sconfitta potrebbe essere letale, anche per l’alto tasso di coesione tra i suoi votanti.
In quasi tutti i casi, comunque, queste elezioni vedranno andare a donne di facili costumi il sogno di non avere coabitazioni. Con un sistema elettorale a doppio turno, è molto improbabile che Mélenchon e Le Pen abbiano più di una manciata di deputati. Anche il movimento di Macron, nato da pochi mesi, non ha candidato figure note al pubblico francese, per cui è improbabile che riesca a raggiungere una maggioranza assoluta dei seggi. L’effetto di trascinamento dei voti dalle presidenziali alle politiche salterebbe. Il risultato sarebbe un paese diviso con un governo diviso: non un evento auspicabile se si vogliono migliorare le condizioni di vita dei cittadini della Francia.
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