La Macedonia è finalmente entrata in un club europeo. No, non si tratta dell’Unione Europea, o della NATO. Il piccolo paese balcanico è entrato nel club dei Paesi ingovernabili, che nel corso dell’ultimo decennio ha raggruppato alcuni paesi europei. Dal Belgio, dove non si è creato un governo per quasi un anno e mezzo, all’Italia, dove tutti ricordiamo la difficoltà a costituire l’esecutivo Letta, nella speranza che ad essi non si associno anche i Paesi Bassi.
La Macedonia appartiene sicuramente a questo poco ambito gruppo, essendo priva di governo da ormai quattro mesi, ma la situazione è più complessa (e allarmante) di quella dei colleghi occidentali. Non solo per lo stallo istituzionale, che rischia di prolungarsi molto a lungo, ma perché alla tensione politica si sta accompagnando anche quella etnica. È immaginabile una via d’uscita pacifica? O il piccolo stato balcanico si trasformerà in una polveriera, come accade spesso nell’area in cui è situato?
POLITICA E STORIA DELLA MACEDONIA – Come noto, si tratta di un piccolo paese balcanico nato nel 1991, sulla scia della disgregazione della Jugoslavia. Ne era la regione meridionale e, assieme a quella settentrionale (la Slovenia), è uscita pressoché indenne dalla federazione. Senza impelagarsi nelle drammatiche guerre jugoslave degli anni Novanta. Ma qui finiscono le note positive. Il paese ha infatti relazioni molto contrastate con i suoi confinanti. Con il nome di Macedonia, infatti, si intende anche una regione geografica divisa tra il paese omonimo, la Grecia e la Bulgaria.
Gli ellenici, che considerano la cultura macedone come una loro prerogativa (vedi Alessandro Magno), non sono disposti a concedere l’uso del nome allo stato confinante, e questo impedisce l’ingresso della Macedonia nell’Unione Europea e nella NATO. La disputa con la Bulgaria, invece, è basata su ragioni etniche: l’identità nazionale macedone si è sviluppata solo a partire dal primo dopoguerra, per cui la Bulgaria la considera come un costrutto fittizio.
La vera spina nel fianco è però l’Albania. Vi è infatti una consistente minoranza albanese, pari al 25% della popolazione, che rende la Macedonia la terza repubblica meno coesa dell’ex Jugoslavia, dopo la Bosnia e il Montenegro. Non proprio un dato positivo.
Dal punto di vista istituzionale, si tratta di un sistema parlamentare; il capo di Stato, pur eletto dal popolo, ha un ruolo di norma cerimoniale. L’assemblea macedone è composta di almeno 120 deputati, eletti con sistema proporzionale con sei circoscrizioni ampie (venti deputati ciascuna), nessuna soglia di sbarramento e formula d’Hondt per la distribuzione dei seggi.
Collegi ampi e mancanza di soglia di sbarramento, si è visto, favoriscono di norma la frammentazione partitica. Nel paese balcanico ci sono solo due partiti principali: il Partito democratico per l’unità nazionale macedone (VMRO-DPMNE), guidato dall’ex premier Nikola Gruevski e al governo ininterrottamente dal 2006, e l’Unione Socialdemocratica di Macedonia (SDSM), oggi guidata da Zoran Zaev. A sostegno diretto di questi partiti vi sono numerosi piccoli partiti, che si presentano alle elezioni con i due partiti maggiori, che raccolgono di norma un solo seggio.
A fungere da partner minori per il governo sono i partiti albanesi: il principale è l’Unione Democratica per l’Integrazione (DUI), guidata da Ali Ahmeti e partner di governo del VMRO-DPMNE dal 2008 a oggi. In totale, i partiti albanesi hanno raccolto 20 seggi nelle ultime elezioni.
ATTO PRIMO: INTERCETTAZIONI ILLEGALI DA PARTE DEL PREMIER – La crisi politica non è nata l’11 dicembre 2016, il giorno delle elezioni, ma seguitava a svilupparsi da quasi due anni. A febbraio 2015, infatti, il leader dell’opposizione Zoran Zaev dichiarò alla stampa che il suo avversario, il primo ministro Nikola Gruevski, aveva effettuato intercettazioni illegali su oltre ventimila cittadini macedoni. In aggiunta, Zaev aveva rilasciato un’intercettazione in cui si era scoperto il segreto di Pulcinella sulla morte di un ragazzo ventunenne nel giugno 2011. Il giovane è stato ucciso durante i festeggiamenti per la vittoria elettorale del VMRO-DPMNE da un agente di polizia. Diversi membri del governo e alti ufficiali di polizia, compreso Gruevski, hanno cercato di insabbiare la responsabilità del governo nell’omicidio.
Le intercettazioni sull’omicidio hanno scatenato lo sdegno pubblico: per tutto il maggio 2015, manifestazioni di piazza si sono tenute a Skopje contro il governo, causando anche alcuni feriti il 5 maggio. Il ministro dell’Interno Gordana Jankulovska e il capo dell’intelligence Saso Mijalkov si sono dimessi a causa dello scandalo, ma non Gruevski. Alle manifestazioni contro il primo ministro si sono aggiunte anche quelle a suo favore, creando un clima di tensione poco positivo.
A questo punto interviene l’Unione Europea che, con grande fastidio russo, media tra Zaev e Grueski per trovare una soluzione che eviti un’escalation di violenza. Il 15 luglio 2015 viene approvata la stesura definitiva dell’accordo di Pržino, che delineava otto punti. Il primo dato rilevante è il ritorno dell’opposizione del SPSD in Parlamento (dove il partito mancava dal 2014 per accuse di brogli governativi), che esprime anche due ministri (Interni e Lavoro). La seconda conseguenza è l‘istituzione di un procuratore speciale per investigare sulle intercettazioni. Inoltre, Gruevski dovrà abbandonare il governo prima del 15 gennaio 2016, cento giorni prima delle elezioni anticipate previste per il 23 aprile. L’accordo finì per funzionare con molta difficoltà, soprattutto sulla scelta del Procuratore Speciale e del suo team.
ATTO SECONDO: STOP ALLE INVESTIGAZIONI SU GRUEVSKI – Era ovviamente tutto troppo bello per essere vero. Il 12 aprile, Gjorge Ivanov, presidente della Repubblica, graziò i cinquantasei politici coinvolti nello scandalo intercettazioni, compresi Gruevski e Zaev (indagato per aver diffuso i nastri). Tutto questo con un tempismo perfetto: il Parlamento era stato sciolto la settimana precedente e il Presidente dell’Assemblea non ha garantito una riunione dell’Assemblea per investigare la scelta di Ivanov. Palese il risultato, cioè una riedizione delle proteste dell’anno precedente; da un lato l’opposizione guidata da Zaev, dall’altro militanti filo-governativi. Le proteste sono continuate per oltre tre mesi, riuscendo a ottenere alcuni risultati decisivi.
In primo luogo, le proteste hanno portato Ivanov a revocare la grazia, inizialmente solo per 22 dei 56 indagati, ma all’inizio di giugno il presidente decise che tutti si sarebbero dovuti sottoporre al processo. In secondo luogo, l’opposizione del SPSD ha attivato la procedura di impeachment contro Ivanov il 18 maggio. La mozione non è passata, giacché in Macedonia è richiesta una maggioranza dei due terzi per attivare l’impeachment e l’opposizione poteva contare su solo 35 voti. Il terzo punto è stato il rinvio delle elezioni. Dopo essere state fissate per il 5 giugno, i socialdemocratici, la sinistra extraparlamentare e i partiti albanesi hanno deciso di boicottare le elezioni per mancanza di garanzie di democraticità. Quattro giorni dopo la presentazione delle liste, il 18 maggio, l’Assemblea ha cancellato le elezioni previste per il 5 giugno. Non è stata però proposta una nuova data per le elezioni fino al 31 agosto, dove è stato stabilito che le elezioni si sarebbero tenute l’11 dicembre. Al terzo tentativo, la Macedonia è riuscita ad andare al voto.
TERZO ATTO: LE ELEZIONI E LA VITTORIA DEL VMRO-DPMNE – Alle elezioni dell’11 dicembre il partito conservatore al governo, di nuovo guidato da Gruevski nonostante le indagini in corso, ha perso numerosi seggi ma è rimasto il primo partito del Paese. Di un nulla, però: il SPSD ha raccolto 49 seggi, solo due in meno rispetto al partito di Gruevski. Questo minuto scarto ha comportato due conseguenze: in primo luogo, Zaev ha dichiarato di aver vinto le elezioni, per poi criticare il risultato come determinato da brogli governativi.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Al VMRO-DPMNE mancano dieci deputati per poter creare il governo, e li deve necessariamente raccogliere nel campo albanese. In sé sarebbe anche possibile: il DUI, alleato di governo negli ultimi otto anni, ha ottenuto proprio dieci seggi. Il crollo verticale del partito, che ha visto dimezzati i suoi consensi, ha però spinto il leader Ali Ahmeti a rifiutare la creazione di una nuova coalizione con i conservatori. Solo due altre opzioni sono possibili: una coalizione dei socialdemocratici con i partiti albanesi, o una grande coalizione con i conservatori.
Dopo il fallimento del negoziato tra conservatori e DUI, il presidente Ivanov richiede a Zaev di portare almeno sessantuno firme di parlamentari disposti ad appoggiare un suo governo. È interessante notare come Ivanov non abbia fatto la stessa richiesta al suo compagno di partito Gruevski. In ogni caso, Zaev, accordandosi con i partiti albanesi, dimostra di avere una maggioranza; ma il presidente impedisce comunque la formazione del governo a causa della cd. Piattaforma di Tirana.
INTERMEZZO: L’ACCORDO DI OCRIDA E LA PIATTAFORMA DI TIRANA – La coesistenza tra la maggioranza macedone e la minoranza albanese non è sempre stata molto civile. Nel 1999 si è infatti formato l’Esercito di Liberazione Nazionale (UCK) per gli albanesi, guidato da Ali Ahmeti. Nel corso del 2001 la crisi scoppia in Macedonia: l’UCK cerca di controllare le città a maggioranza albanese, come Tetovo, scatenando la reazione del governo macedone. Per mesi la situazione è sull’orlo della guerra civile, ma le parti riescono a trovare un compromesso, redatto nell’Accordo di Ocrida (13 agosto 2001).
L’accordo prevede lo scioglimento dell’UCK e la creazione di una nuova formazione politica albanese, il DUI, ma soprattutto prevede alcune revisioni alla Costituzione in funzione di una maggiore rappresentanza della minoranza albanese. Si tratta in particolare di revisioni relative al riconoscimento della lingua albanese come lingua ufficiale (nuovo art. 7 della Costituzione), del principio di uguaglianza tra macedoni e albanesi (art. 8). Inoltre, viene prevista una procedura aggravata per le revisioni costituzionali in materia di educazione, lingua e ordinamento degli enti locali (artt. 69 e 131). Agli albanesi, inoltre, è dato un potere di veto nella scelta di tre dei nove giudici della Corte Costituzionale (art. 109).
Dopo un periodo di tregua, la tensione si è però riacutizzata tra macedoni e albanesi, grazie alle politiche di antichizzazione della cultura macedone (per rinsaldare il sentimento nazionale) di Gruevski, che non sono state ben viste dalla minoranza albanese. Dal 2011 sono ricominciate ondate di protesta nella regione occidentale. È in questo contesto che si innesta la piattaforma di Tirana, un manifesto politico firmato dai quattro partiti albanesi di Macedonia e i leader di Albania e Kosovo. La piattaforma richiede una ridiscussione dei simboli fondamentali dell’ordinamento (bandiera, inno), l’inserimento degli albanesi come nazione fondante lo stato e una risoluzione che prenda atto del genocidio degli albanesi in Macedonia.
ULTIMO ATTO: IL CAOS POLITICO – È evidente che la piattaforma di Tirana non sia gradita dai conservatori, che hanno usato abilmente l’assist involontario albanese per screditare i socialdemocratici. Il presidente Ivanov ha usato quanto gli è passato per le mani, e in questo modo potrebbe far fallire una trattativa tra SPSD e partiti albanesi. Il fallimento della trattativa potrebbe portare al salvataggio di Grueski dalle indagini per le intercettazioni. Ma a quale costo?
La tensione politica rischia di sfociare in tensione inter-etnica: un gruppo filo-governativo, sotto il nome di Iniziativa per una Macedonia Unita, sta protestando da oltre un mese e mezzo contro la Piattaforma di Tirana e, di converso, contro la formazione del governo. Questa escalation nazionalista potrebbe portare a uno scontro futuro con la minoranza albanese. Alcuni parlamentari albanesi hanno già evidenziato l’inesistenza di un’identità macedone fino al XX secolo, reclamando il territorio come parte dell’Albania.
Inoltre, l’azione del VMRO-DPMNE sta portando allo stallo istituzionale completo. Oltre all’assenza di un governo, l’Assemblea si è riunita con tre mesi di ritardo e i conservatori stanno facendo ostruzionismo parlamentare ormai da due settimane. Per poter iniziare la formazione del governo, infatti, è necessaria l’elezione del Presidente dell’Assemblea e la costituzione dei gruppi parlamentari. I conservatori stanno però usando uno strumento contrario al regolamento della Camera. L’ostruzionismo sta venendo portato avanti grazie al botta e risposta tra i parlamentari conservatori, con il benestare del Presidente ad interim Trajko Veljanoski, del VMRO-DPMNE.
Ricapitolando, c’è il rischio di tensioni etniche tra macedoni e albanesi e le istituzioni sono bloccate dall’ostruzionismo del partito conservatore. La ciliegina sulla torta è data dalle intromissioni esterne, con l’Unione Europea e la NATO in rotta di collisione verso Ivanov e una certa deriva autoritaria del paese. Nella contesa si è inserita la Russia, ben disponibile ad appoggiare Ivanov e Gruevski in funzione anti-europea. Per mero calcolo politico di tutte le parti, la situazione in Macedonia si prospetta esplosiva.
[…] La Turchia è al voto domenica 16 aprile. Il popolo turco è chiamato a votare su una riforma costituzionale che stravolgerebbe l’intera organizzazione costituzionale turca. Recep Tayyip Erdogan, il presidente della Repubblica di Turchia, e il suo partito, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), giustificano la riforma con la necessità di eliminare l’instabilità governativa. Problema, questo, che sta affligendo diversi sistemi parlamentari in Occidente (Italia, Paesi Bassi, Belgio, per non parlare del recente caso macedone). […]
[…] tesa al confine, poiché entrambi gli Stati si contendevano il dominio su alcune regioni della Macedonia e della Tracia. Con le frontiere così militarizzate, nessun uomo avrebbe rischiato di provocare un […]