Chi sono Christine Lagarde e Ursula von der Leyen

Due nomi che sentiremo spesso nei prossimi cinque anni. Chi sono le nuove "regine d'Europa"?

È giunto il momento del periodico ricambio d’aria, per rinfrescare dalla calura di luglio i palazzi delle istituzioni europee. Una serie di nomine che desta da subito attese, speranze, preoccupazioni per la prevista linea politica ed economica dell’Unione nei prossimi cinque anni. Su tutti i nomi coinvolti, due in particolare stanno facendo notizia e generando discussioni: quelli di Christine Lagarde e Ursula von der Leyen.

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David Sassoli. (Roberto Monaldo/Lapresse)

Un atteso cambio di gestione

Quelli di Lagarde alla Banca centrale europea e von der Leyen alla Commissione non sono però gli unici nomi importanti, in questa fase di completo riassetto delle alte sfere d’Europa. Oltre allo scettro del Consiglio europeo, che racchiude gli interessi dei singoli Stati membri e passa dal polacco Donald Tusk al belga Charles Michel, le novità prevedono tre italiani in uscita e uno in entrata.

A uscire, oltre a Mario Draghi dalla BCE, c’è Federica Mogherini, dal 2014 Alto rappresentante per gli Affari esteri, che sarà rimpiazzata dal socialista ed ex ministro degli Esteri spagnolo Josep Borrell. A entrare succedendo a un altro italiano, Antonio Tajani, è invece David Sassoli in qualità di presidente del Parlamento europeo.

Sassoli, noto giornalista Rai, è europarlamentare dal 2009 con il Partito Democratico. La preferenza nei suoi confronti è stata confermata per tre elezioni di fila dagli aventi diritto italiani, e oggi è stata espressa anche dai suoi stessi colleghi al secondo scrutinio, con 345 voti. Durante la guida Tajani, l’ex vicedirettore del TG1 è stato anche vicepresidente dello stesso Parlamento e può di certo vantare esperienza a riguardo. Politico attento, dalla personalità pacata e moderata, è lecito non aspettarsi grandi stravolgimenti nel corso della sua presidenza.

Presidenza che, in quanto “mantenimento” da parte dell’Italia di un ruolo europeo di prim’ordine, è certamente una vittoria in ottica nazionale – sebbene i partiti di governo, Lega e Movimento 5 Stelle, abbiano votato contro la candidatura di Sassoli.

La sconfitta, però, arriva proprio con le due lady dalle quali prende il nome questo articolo, e la cui nomina richiama moltissimo quell’asse franco-tedesco così temuto da un esecutivo italiano che, in realtà, avrebbe potuto farne parte ad armi pari a patto di non essersi posto in completa ostilità fin dall’inizio. L’apprezzato Mario Draghi è stato di certo una garanzia per il nostro Paese, in un momento storico che già vedeva la crescita prossima allo zero, e che ora sembra andare alla deriva in termini di programmazione finanziaria e di quei delicati, delicatissimi rapporti tra deficit e Pil. Un costante occhio di riguardo che probabilmente Christine Lagarde non avrà, nei confronti di un’Italia che ha rinunciato ad avere voce in capitolo.

Questa volta, l’Italia non si è seduta a mangiare con i grandi ma è stata piuttosto relegata al tavolo dei bambini – il blocco di Visegrad, del quale ha seguito da subalterna le direttive nella trattativa, cadendo nel tranello di Angela Merkel. I Paesi di Visegrad si erano infatti opposti assieme all’Italia alla proposta nomina di Frans Timmermans, uomo “di ferro” il cui nome alla Commissione sarebbe stato sinonimo di austerity. Molto meglio allora la von der Leyen, una figura tranquilla e condivisibile che dopo il ritiro dell’ipotesi Timmermans non ha suscitato opposizione, proprio come Frau Merkel si aspettava.

E adesso, cosa aspettarci noi? Quelli di Christine Lagarde e Ursula von der Leyen sono senz’altro due nomi che i rotocalchi ripeteranno spesso nei prossimi cinque anni, per sostituire direttamente quelli di Draghi e Juncker: ma chi sono queste due signore?

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Christine Lagarde. (CNN)

Chi è Christine Lagarde, il volto femminile dell’economia globale

Nel 2018, la celebre rivista Forbes ha inserito Christine Lagarde al terzo posto della sua annuale classifica delle donne più potenti del mondo – non se la prenda la meno “in vista” von der Leyen, ma quello di Forbes è senz’altro un giudizio realistico.

Figlia di docenti di letteratura e con un passato nella nazionale francese di nuoto sincronizzato, Christine Lagarde è laureata in giurisprudenza e vanta una carriera da avvocato condotta presso la firm Baker & McKenzie di Chicago, dove si è occupata di casi sindacali e di antitrust. Dal 2005 al 2011, in natia terra francese, è stata ministro del Commercio, poi dell’Agricoltura e infine dell’Economia. Da sempre vicina al centro-destra, scrisse lettere private a Nicolas Sarkozy nelle quali professava la sua stima per lui e lo eleggeva a suo mentore, promettendo di aiutarlo senza chiedere nulla in cambio.

Nel 2011 arriva alla guida del Fondo monetario internazionale, sostenuta fortemente proprio da Sarkozy e subentrando a quel Dominique Strauss-Kahn che si vide piombare addosso un monumentale scandalo fatto di accuse di violenza sessuale – né le prime, né le ultime della sua vita.

Alla guida del FMI, Christine Lagarde è ricordata soprattutto per essere parte di quella squadra di creditori nei confronti di una Grecia in profonda crisi economica. Nonostante il suo ruolo e l’attitudine da “donna di ferro”, in realtà la Lagarde si è rivelata uno dei personaggi più permissivi, tendenti al compromesso in quel contesto – certamente più della BCE. Persino l’eclettico Yanis Varoufakis, ministro dell’Economia di Alexis Tsipras, non ebbe un’opinione troppo dura nei suoi confronti. Eppure la Lagarde riuscì a scatenare una controversia quando affermò che per la Grecia fosse giunta la «resa dei conti», frase che in seguito si rimangiò. In generale, la sua posizione nei confronti di una Grecia insolvente si è trasformata a più riprese, passando dalla linea dura al compromesso e viceversa, a seconda della situazione e della possibilità di accordo con Atene.

Nell’ottobre del 2010, quando ancora era ministro in Francia, Christine Lagarde passò alle autorità greche una lista di potenziali evasori fiscali del Paese, che possedevano conti presso la banca svizzera HSBC. L’elenco, noto come lista Lagarde, faceva parte di una più ampia banca dati raccolta illegalmente dall’hacker italo-francese Hervé Falciani (e pertanto nota come lista Falciani); provocò scandalo in Grecia quando fu scoperta dalla stampa nazionale, poiché le autorità elleniche non erano riuscite a produrre un’investigazione a riguardo. Il giornalista che si occupò dell’inchiesta, Kostas Vaxevanis, fu incriminato per aver infranto le leggi sulla privacy e poi prosciolto.

Diverso l’esito formale – ma non quello materiale – del caso giudiziario che ebbe invece per protagonista proprio Christine Lagarde. Nel 2011, le autorità francesi iniziarono a investigare un arbitrato condotto dalla Lagarde ministro nel 2007: la decisione aveva prodotto un accordo di 400 milioni di euro a favore dell’imprenditore Bernard Tapie. Nel dicembre 2016, la Lagarde fu giudicata colpevole di negligenza in quel caso, ma inspiegabilmente non le venne assegnata alcuna pena.

In questi giorni suscita qualche dubbio la nomina alla BCE di Christine Lagarde, laureata in giurisprudenza e non in economia, e da sempre personaggio più politico che tecnico. La sua carriera è costellata di successi, rigore e capacità di compromesso, ma anche di “strafalcioni” come il caso d’arbitrato. Potrà la Lagarde essere efficace nel suo nuovo ruolo? Solo il tempo ce lo dirà.

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Ursula von der Leyen. (BBC)

Chi è Ursula von der Leyen, la “Clinton tedesca”

Se Christine Lagarde è stata “protagonista” della scena mondiale degli ultimi anni, Ursula von der Leyen è una figura – come si accennava – più nota nella politica nazionale tedesca che non all’estero. Le cose, però, stanno decisamente per cambiare per l’ex ministro di Angela Merkel.

La von der Leyen è definibile come una “Clinton tedesca”, e non solo per la vaga somiglianza fisica. Personaggio noto in politica nazionale, dove è attiva con il CDU, dal 2005 a oggi è stata ministro della Famiglia, del Lavoro e poi della Difesa.

Si tratta di una “figlia d’arte”, e più in particolare del politico CDU Ersnt Albrecht; tanto che quando la von der Leyen si recò a studiare economia a Londra, all’apice del terrorismo rosso (1978), ritenne opportuno usare lo pseudonimo Rose Ladson in quanto figlia di un personaggio importante e pertanto possibile obiettivo terroristico.

In seguito Ursula von der Leyen decise di cambiare carriera, studiando e laureandosi in medicina – mestiere che opererà, anche da docente universitario, fino al 2002. Già dal 1999 fu attiva nel partito cui apparteneva anche il padre – per l’appunto, il CDU – e nel 2003 ottenne il suo primo ruolo pubblico come ministro “locale” del Land di Bassa Sassonia.

La von der Leyen è sicuramente uno dei personaggi più progressisti all’interno di un partito di centro-destra, cosa che l’ha messa diverse volte in conflittualità con le frange più conservatrici dello stesso. Da ministro del Lavoro, ad esempio, sostenne fortemente politiche a favore delle quote rosa, del matrimonio omosessuale, del salario minimo e del ricorso all’immigrazione per compensare le mancanze nella forza-lavoro tedesca. Tutte politiche tradizionalmente osteggiate dalle frange più destrorse e che, viceversa, le hanno nel tempo procurato qualche ammiratore da sinistra.

Insomma: un personaggio moderato, equilibrato, non troppo schierato. Non tradizionalmente rivoluzionaria, anzi, ma dall’impronta progressista, proprio come quella Hillary d’oltreoceano cui l’abbiamo poc’anzi accostata. Un’altra somiglianza tra le due sta nel ruolo avuto dalla von der Leyen come ministro della Difesa, per lei ultimo ruolo di gabinetto in ordine di tempo e che, peraltro, la incorona come prima donna a occupare questo Ministero in Germania.

Nell’affrontare i più recenti episodi di carattere internazionale, la von der Leyen è stata a suo modo “interventista”, per esempio con la decisione di contribuire all’armamento delle forze curde impegnate nella guerra civile in Siria: in Germania un supporto di questo tipo era considerato un tabù da molto tempo. Si è allo stesso modo opposta al ritiro delle truppe tedesche dall’Afghanistan, dopo un turning point in negativo del conflitto che aveva visto i talebani riguadagnare terreno.

Diversamente, si è opposta ai rifornimenti bellici indirizzati all’Ucraina, teatro sensibile in particolare per la Germania, conscia del fatto che un’escalation militare in piena Europa sarebbe una ricetta per il disastro. Ciò nonostante, durante il suo mandato non sono mancate le proposte franco-tedesche di supporto logistico a Kyev, il che include l’invio di personale e droni.

Coerentemente con il ruolo dominante della Germania in Europa, ha cercato di coinvolgere maggiormente Berlino nei teatri internazionali, spingendo per la partecipazione alle missioni di peacekeeping Onu, riformando in senso moderno le forze armate e il loro bilancio, e spingendo per il supporto Nato in chiave anti-russa relativamente alle situazioni in Crimea e nel Baltico. È stata criticata per la cooperazione con l’Arabia Saudita, coinvolta da tempo nella sanguinosa guerra civile nello Yemen e colpevole di crimini di guerra per l’utilizzo di armi non convenzionali e violazione sistematica dei diritti umani.

Sul piano ideologico, è una forte sostenitrice degli Stati Uniti d’Europa e certamente, nel corso dei suoi anni a capo della Commissione, non mancheranno i richiami all’unità in un momento di così profonda divisione. La von der Leyen ha criticato a più riprese le politiche divisive e anti-immigrazione di Viktor Orbán in Ungheria, e auspica un’Europa sempre più unita – passando anche per la formazione di un esercito europeo, ipotesi da sempre presente ma alla quale i singoli Stati ancora resistono.

Tracciare i cursus honorum delle due nuove “regine d’Europa” può certamente essere d’aiuto per provare a indovinare come si svolgeranno i prossimi cinque anni di Unione Europea: ed è probabile che Christine Lagarde e Ursula von der Leyen spingeranno per un’Europa unita, economicamente forte, con qualche accenno di rigore ma non troppo – e in questo senso l’Italia può solo sperare di non essere oggetto di nuove procedure di infrazione. Tuttavia, queste non sono che speculazioni: solo il futuro ci svelerà, man mano, il futuro del Vecchio Continente.

Valerio Bastianellihttps://buntekuh.it
Sono laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università La Sapienza e in Informazione, Comunicazione ed Editoria all'Università di Tor Vergata. Sono fondatore e direttore editoriale di Bunte Kuh, oltre che autore e responsabile tecnico per theWise Magazine.

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