Le elezioni legislative in Francia: troppa governabilità?

Per gli appassionati di politica (e Enrico Mentana) la settimana scorsa è stata pregna di eventi. Giovedì 8 si sono tenute le elezioni in Regno Unito, dove Theresa May ha perso la sua maggioranza e si è affidata a un’improbabile alleanza con gli unionisti dell’Ulster. Domenica 11 si sono tenute le amministrative in Italia, dove qualsiasi leader di partito si è dichiarato vincitore e dove ci sono voluti quattro giorni per stabilire chi dovesse andare al ballottaggio ad Asti (per sei voti). Sempre domenica, si sono tenute però le elezioni legislative in Francia. In questa tornata, i risultati hanno stupito tutti, persino gli addetti ai lavori. En Marche, il partito del neo-presidente Emmanuel Macron, sarebbe accreditato infatti di vincere circa 445 seggi sui 577 a disposizione.

Si tratta di un’enorme sorpresa perché, fino ad un anno fa, il partito non esisteva neanche nella mente di Macron, e alla sua prima elezione rischia di ottenere una delle più ampie maggioranze della storia francese. I cittadini comuni (e anche gli analisti) si domandano come sia possibile una tale vittoria e soprattutto se questa situazione non sia pericolosa per la democrazia. En Marche ha infatti ottenuto solo il 33% dei voti, ma avrebbe una maggioranza che non rende necessaria alcuna coalizione.

mappa risultati elezioni legislative in Francia
I risultati del primo turno delle elezioni legislative in Francia. Solo quattro seggi sono già stati assegnati, nella mappa si vedono invece i candidati in vantaggio nel singolo collegio. In giallo, i risultati di En Marche e del suo alleato, il centrista MoDem (LeMonde)

THE PERKS OF BEING A MAGGIORITARIO COL DOPPIO TURNO – Questo risultato è stato propiziato dal sistema elettorale. Per le elezioni legislative in Francia, infatti, è in vigore una legge di tipo maggioritario con il doppio turno: il paese è diviso in 577 collegi uninominali e il candidato che ottiene il 50% delle preferenze al primo turno vince il collegio. Questa eventualità è plausibile in un sistema bipartitico, molto meno in uno multipolare come quello francese, per cui pochissimi seggi sono assegnati al primo turno. In queste elezioni sono stati solo quattro: due per En Marche, uno per l’UDI (uno dei partiti che rappresentano la coalizione repubblicana) e uno per i Socialisti.

Gli altri seggi saranno assegnati in un ballottaggio che si terrà domenica 18. En Marche e il MoDem saranno presenti in ben 515 ballottaggi; nella metà dei casi affronteranno i gollisti, nei restanti il Front National, l’estrema sinistra di Mélénchon e i socialisti in ordine decrescente.

Le elezioni legislative in Francia, però, hanno alcune particolarità che le distinguono da un qualsiasi sistema maggioritario con doppio turno. Al ballottaggio, infatti, non accedono solo i due candidati con il maggior numero dei voti, ma anche un qualsiasi candidato che abbia ottenuto preferenze pari ad almeno il 12,5% di elettori. In un’elezione con un’affluenza del 50%, dovrebbe quindi ottenere il 25% delle preferenze. L’effetto di questa previsione, in un’elezione con un basso tasso di astensionismo, è quindi di portare al ballottaggio eventualmente tre o quattro candidati; in questo caso a vincere sarebbe il candidato col maggior numero di voti.

Non tutti i vincitori devono presentarsi al ballottaggio: in caso di una sfida a tre, un candidato potrebbe decidere di ritirarsi per favorire uno dei restanti due. Questo è in particolare vero nei casi in cui si sia presentato un ballottaggio con il Front National, o ancora, tra partiti affini (ad esempio la sinistra e i socialisti alle elezioni del 2012). La bassissima affluenza (pari al 48,7%) ha però limitato la presenza di ballottaggi a tre: solo un collegio sarà deciso così. Nel 2012, invece, ben trentadue deputati erano stati scelti in votazioni «triangolari».

Marine Le Pen Francia
Marine Le Pen, leader del partito di destra Front National dal 2011, è stata sconfitta alle Presidenziali dello scorso maggio ma è ancora in corsa per un posto da parlamentare nel suo collegio Pas de Calais XI. (AFP/Frederick Florin)

Gli effetti di questo sistema elettorale sono due. In primo luogo, viene favorita la logica del voto utile: invece di votare un partito piccolo, con poche possibilità di passare al ballottaggio o di vincerlo, si spinge su un candidato affine con maggiori possibilità di successo.

Inoltre, come in tutti i sistemi maggioritari, le elezioni legislative in Francia presentano un’enorme distorsione della rappresentanza. Il sistema tende a sovra-rappresentare i partiti maggiori, come possono essere i gollisti o i socialisti, o partiti molto radicati in un’area specifica. La conseguenza è una sotto-rappresentazione di alcune forze, magari considerate anti-sistema o pericolose per la democrazia: il caso classico è il Front National. In questa tornata elettorale, il partito di Marine Le Pen ha ottenuto circa il 14% dei voti, ma appena una decina di deputati dovrebbero entrare in Parlamento, impedendo alla formazione di creare un suo gruppo parlamentare (servono quindici membri).

Va anche notato che la distorsione della rappresentanza è aggravata da un sistema pluripartitico: con cinque poli principali (En Marche, socialisti, gollisti, la sinistra e il Front National) un partito può ottenere più seggi con una percentuale più bassa. Un movimento come quello di Macron, che ha ottenuto solo il 33% delle preferenze, è avvantaggiato su avversari che hanno ottenuto, a livello nazionale, almeno dieci punti percentuali in meno.

Charles De Gaulle elezioni legislative in Francia
Charles De Gaulle è stato generale durante la Seconda Guerra Mondiale e leader della Francia libera, contrapposta al regime di Vichy. In seguito si fece carico di una riforma dell’ordinamento, noto come Quinta Repubblica. Fu anche Presidente della Repubblica tra il 1959 e il 1969. (Wikipedia)

IL DEMONE DELLA GOVERNABILITÀ –  Un sistema elettorale distorsivo della rappresentanza può spiegare in parte l’exploit di Macron, ma non bisogna sottovalutare altri elementi tipici dell’ordinamento francese. La Francia è infatti succube del demone della governabilità, vale a dire la necessità di avere un governo funzionante anche a scapito del principio di rappresentanza.

La ragione è di natura storica. Sin dal 1870, dopo la caduta di Napoleone III e la fine del Secondo Impero, la Francia ha subito l’esistenza di un sistema frammentato che causava instabilità governativa. La situazione non fece che peggiorare dopo il ritorno alla democrazia post-Vichy. La nuova Quarta Repubblica, infatti, fu schiava dell’ingovernabilità in circostanze storiche non favorevoli. Il sistema, inaugurato nel 1946 e pensionato dodici anni dopo, vide ben 22 governi. Questi furono costretti a barcamenarsi in un periodo di ricostruzione post-bellica e, peggio, durante l’avvio del processo di decolonizzazione. Fu durante la Quarta Repubblica che i francesi furono gravemente sconfitti a Dien Bien Phu, in Indocina, e si ritirarono dal Vietnam. Ancora più rilevante è lo scoppio della guerra d’indipendenza algerina.

A buttare ulteriore sale sulle ferite era l’opposizione al sistema vigente di Charles De Gaulle. L’ex generale era infatti entrato in politica dopo la seconda guerra mondiale, spinto dalla popolarità che aveva ottenuto come leader della Francia libera. Il sistema parlamentare era quindi bloccato dai suoi conflitti interni e bombardato dall’esterno, in particolare dalle colonie, e sconfessato persino da un eroe di guerra.

Un colpo di stato militare ad Algeri nel maggio del 1958 portò il Presidente della Repubblica René Coty a chiedere a De Gaulle di guidare il governo. Il generale accettò, a patto che si approvasse una nuova costituzione di natura presidenziale e che gli fossero dati i pieni poteri per sei mesi.

Michel Debré, a sinistra, è stato Primo Ministro nei primi quattro anni di presidenza De Gaulle. È stato uno dei principali artefici della Costituzione della Quinta Repubblica Francese. (Sipa Press)

De Gaulle si premurò di favorire la governabilità in ogni maniera possibile. Il sistema semipresidenziale separava l’ufficio presidenziale da quello parlamentare, che non poteva sfiduciare il presidente. Quest’ultimo, però, aveva il potere di sciogliere l’Assemblea Nazionale (la camera bassa dell’ordinamento francese), in accordo con il Primo Ministro e i Presidenti delle Camere. Di norma queste quattro figure appartengono allo stesso partito, per cui il potere in mano al Presidente è enorme. La conseguenza è che il Presidente è quasi inamovibile nel suo mandato e può decidere di tenere nuove elezioni legislative in Francia quasi a suo piacimento.

Ma non è l’unico artificio atto a favorire la governabilità. La stessa discussione parlamentare ha dei limiti, soprattutto se paragonata con l’Italia. La Camera dei Deputati e il Senato possono infatti votare potenzialmente all’infinito su una legge, se non si riesce a ottenere un testo unico nelle due Aule. Questo, ad esempio, porta all’abuso del voto di fiducia per impedire questo continuo trasbordo delle leggi (noto anche come cd. navette). In Francia la navette non è libera: i due rami del Parlamento possono votare massimo due volte la legge. Nel caso in cui non si trovi un accordo, il Primo Ministro nomina una Commissione paritetica che deve redigere un testo unificato (art. 45 della Costituzione del 1958). Se una delle Camere decide poi di bocciare la proposta comune, la scelta passa direttamente alla sola Assemblea Nazionale, cioè alla maggioranza governativa. Il Senato quindi non può effettuare ostruzionismo.

Lionel Jospin elezioni legislative in Francia
Lionel Jospin ha coabitato per cinque lunghissimi anni con il Presidente gollista Jacques Chirac. Dopo aver portato alla vittoria i Socialisti nelle elezioni legislative in Francia del 1997, fu sconfitto al primo turno delle presidenziali del 2002. Oggi è membro del Consiglio Costituzionale francese (Getty Images/Lionel Bonaventure)

La governabilità è quindi un principio cardine che influenza il legislatore francese, anche in occasione di leggi costituzionali. È il caso della riforma del 2000, che ha ridotto il mandato presidenziale da sette a cinque anni. L’idea era di eliminare un ostacolo alla governabilità che è intrinseco al sistema semipresidenziale, la coabitazione. Fino alle elezioni del 2002, infatti, era possibile che in Parlamento ci fosse una maggioranza di colore diverso rispetto al Presidente. Ad esempio, era successo tra il 1993 e il 1995 con il Presidente Mitterand appartenente al Partito Socialista e il primo ministro, che rappresentava la maggioranza parlamentare, era Èdouard Balladur, appartenente alla galassia gollista. Si riverificò, a parti invertite, tra il 1997 e il 2002, con Jacques Chirac presidente della Repubblica e Lionel Jospin come Primo Ministro.

Il demone della governabilità colpì anche con un’altra previsione: le elezioni legislative si sarebbero dovute tenere un paio di mesi dopo le presidenziali. Questo perché il timore della coabitazione spingerebbe l’elettorato a votare il partito del Presidente. Si tratta quindi di una sorta di trascinamento dei voti tra presidenziali e elezioni legislative in Francia, che possono ben spiegare il successo di un partito appena nato come En Marche.

UN MOSTRO CHE INGURGITA LA DEMOCRAZIA? –  Sono state spiegare le ragioni per cui Macron potrebbe ottenere una maggioranza turca nel secondo turno delle elezioni legislative in Francia. Ma resta l’altra domanda: una vittoria così schiacciante è un pericolo per la democrazia? Non si può esserne certi, ma si può azzardare una risposta negativa. In primo luogo, è già successo che alle elezioni legislative in Francia sia uscita una maggioranza schiacciante. Nel 1993, infatti, la coalizione dei gollisti di Giscard d’Estaing e dell’RPR di Jacques Chirac ottenne addirittura 485 seggi, lasciandone appena novantadue a socialisti e comunisti. Si trattava quindi di formazioni già avviate e non hanno approfittato della situazione per imporre una deriva autoritaria.

Un movimento appena nato potrebbe ospitare parlamentari con posizioni politiche molto differenti, in maniera non dissimile da quanto avvenuto in Italia con il Movimento 5 Stelle. Questa formazione ha infatti perso numerosi pezzi durante la legislatura, per cui si può azzardare qualche dubbio sulla coesione interna dei membri di En Marche.

A maggior ragione, le diverse anime del movimento – e del Presidente – sono ben dimostrate dalla composizione del governo Philippe. I due ministeri economici (Economia e Finanze) sono stati assegnati a membri della coalizione repubblicana, mentre altri dicasteri (come gli Interni, l’Agricoltura e gli Esteri) sono affidati ad esponenti di area socialista. Sarà interessante notare come il Presidente riunirà queste fazioni contrastanti e se ne dovesse prevalere una.

 

Alessio Agostinis
Sono laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università di Roma - La Sapienza e in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Bologna - Polo di Forlì. Sono fondatore di BunteKuh e sto studiando per un Master in Marketing, Comunicazione e Made in Italy del CSCI.

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22 Luglio 2017 2:34 pm

[…] il quale comunque tentò piuttosto di personalizzare un Pds già esistente e di lunga tradizione, fino a Emmanuel Macron nel […]

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