La guerra civile in Siria è un conflitto molto complesso e intricato, che ha superato per durata i due conflitti mondiali e dove è difficile orientarsi, perché è una guerra molto diversa da come comunemente si immagina un conflitto.
Tanto per iniziare, in Siria non ci sono solo due fronti a contrapporsi. Sarebbe troppo semplice. In Siria i fronti sono o sono stati almeno quattro-cinque. Ma questi quattro-cinque fronti non sono divisi nettamente fra loro: a volte si mescolano, a volte stipulano alleanze che poi rompono oppure tradiscono; magari un giorno sono alleati, ed il giorno dopo non lo sono più. In Siria esistono poi contrapposizioni politiche, tribali ed internazionali che si intrecciano e si spezzano. La guerra civile siriana è una matassa imbrigliata e dove nessuno sa come venirne a capo.
Per rendere meglio l’idea dell’intreccio, andiamo a schematizzare tutti i fronti/contrapposizioni che si stanno scontrando in Siria e i vari eventi che si sono succeduti dal 2011 ad oggi. Dovremo semplificare molto: per descrivere dettagliatamente la situazione ci vorrebbe lo spazio di un romanzo!

L’inizio
La guerra in Siria inizia fra il 2011 e il 2012. La primavera araba arriva anche nel Paese e nelle principali città si svolgono manifestazioni contro il regime della famiglia al-Assad, che domina ininterrottamente dal 1970. Fino al 2000 governava Hafiz al-Assad, padre, da quell’anno è al potere Bashar al-Assad, figlio.
Le prime manifestazioni sono pacifiche: esse chiedono la fine dello stato d’emergenza che dura da quarant’anni e il ripristino delle principali libertà costituzionali. Il regime, da un lato, accetta alcune concessioni, dall’altro reagisce con estrema durezza: la polizia e l’esercito aprono il fuoco sui manifestanti, attivisti vengono arrestati e torturati. Gradualmente gli oppositori iniziano ad armarsi e a reagire: in molte città della Siria i soldati vengono respinti e si svolgono vere e proprie battaglie.

La nascita del FSA
Una parte dell’esercito della Siria decide di disertare e forma il FSA, il Free Syrian Army, con lo scopo di deporre con le armi il regime di Assad. Il FSA, ispirato all’inizio da esponenti laici e democratici, riesce a prendere possesso di alcune regioni del paese. Ben presto però inizia ad apparire sulla scena anche l’opposizione religiosa moderata dei Fratelli Musulmani. Fratelli Musulmani e FSA stringono un’alleanza sia militare, sia politica fondando a Instanbul il Consiglio Nazionale Siriano che si pone come governo alternativo della Siria. Agli inizi del 2012 inizia a comparire sulla scena anche il Fronte al-Nusra, composto invece da esponenti del fondamentalismo islamico legati ad al-Qaida. Al-Nusra (il cui nome in arabo significa Soccorritori del Popolo della Siria) è nemico sia di Assad che del FSA e i tre gruppi si scontrano in diverse zone della Siria. Al-Nusra è responsabile di alcuni attentati organizzati come kamikaze e autobombe anche obiettivi civili.
In forte difficoltà sotto il piano militare, al-Assad decide di ricorrere agli shabiba: spietati soldati alawiti (ossia della stessa tribù del presidente) che si rendono responsabili di massacri di civili inermi. Al-Assad, inoltre, conserva il controllo dell’artiglieria e dell’aviazione che gli danno un non trascurabile vantaggio sui suoi avversari. Le diserzioni dei suoi soldati e le tecniche di guerriglia adottate dal FSA, però, rendono Assad molto debole e i suoi uomini incassano una sconfitta dopo l’altra.
Forte del sostegno dell’Occidente e della Turchia, il FSA tenta di sferrare il colpo finale e di conquistare Damasco e Aleppo, le due principali città della Siria. Il 18 luglio per Assad sembra giunta la sua ora: le milizie del FSA irrompono nei quartieri nord della città, poche ore dopo che alcune autobombe piazzate in punti nevralgici hanno ucciso importanti esponenti dell’esercito e del governo, lasciando così le truppe lealiste senza comando. Si diffonde persino la voce che al-Assad e la sua famiglia stiano cercando di fuggire a Mosca.
Invece al-Assad è ancora in Siria, a Damasco, da dove guida in prima persona la controffensiva dei suoi fidati alawiti, che ricevono sostegno e supporto anche da molti abitanti della città. I ribelli, in difficoltà, non riescono a consolidare la vittoria, e devono abbandonare Damasco.
Più complicata la situazione ad Aleppo, dove il FSA conquista la parte est della città mentre la zona ovest resta in mano al regime. Come una moderna Berlino di Siria, Aleppo resterà sotto assedio e divisa per altri lunghissimi anni, dal 2012 al 2016, quando i governativi riescono a riprendere per intero il controllo della metropoli.
La sconfitta di Damasco e la mancata conquista di Aleppo logorano il FSA, mentre i finanziamenti provenienti dai Paesi del Golfo Persico rinforzano sempre di più le numerose milizie islamiste sia quelle alleate del FSA sia quelle nemiche. In breve tempo gli islamisti assumono gradualmente il comando del fronte ribelle, esautorando sempre più il FSA.

Una guerra etnica e religiosa
Come l’ex Jugoslavia, la Siria è un paese dove convivono decine di etnie e religioni diverse. Col tempo la guerra, nata con tutt’altre motivazioni, inizia a trasformarsi anche in uno scontro di natura etnica. Gli al-Assad sono alawiti ma gli alawiti, di religione sciita, all’inizio partecipano alle manifestazioni contro la dittatura. Con l’aggravarsi delle tensioni e con le infiltrazioni degli estremisti sunniti nel fronte ribelle, gli alawiti ritornano ad essere i più grandi sostenitori del presidente. Proprio agli alawiti, come abbiamo visto, si rivolge al-Assad per le missioni più delicate o più crudeli.
Nel nord vivono i curdi che approfittano delle tensioni per proclamare l’indipendenza della loro regione. I sunniti, che sono maggioranza ma che odiano gli alawiti sciiti, invece sono l’ossatura prima del FSA e poi delle milizie fondamentaliste. I cristiani, 12% della popolazione sirianam sono inizialmente neutrali o divisi, ma quando i fondamentalisti sunniti iniziano le prime operazioni di pulizia etnica contro cristiani e alawiti non esitano a passare dalla parte di al-Assad. Anche i drusi, che vivono nel Sud e seguono una versione tutta loro dell’Islam, spaventati dal diffondersi del fanatismo religioso fra i ribelli, si schierano con al-Assad. Al-Assad offre alle minoranze maggiori garanzie di tranquillità e le minoranze passano tutte dalla sua parte.

La linea rossa di Obama
In Siria si scatena anche una complicatissima partita a scacchi geopolitica. Paese crocevia fra l’Europa e il Medio Oriente, sotto la dittatura degli Assad è sempre stato un tradizionale alleato dell’URSS prima e della Russia adesso. La religione sciita degli Assad, poi, rende la Siria un alleato ideale per l’Iran (paese dove governa una teocrazia sciita) e il confinante Libano, dove l’etnia sciita ha spesso agito sotto la protezione siriana. Dal Libano giungono i miliziani di Hezbollah a sostegno del regime. La Russia ha inviato soldati di fanteria e aerei in Siria a sostegno delle truppe di Assad impegnate contro i ribelli.
La crisi del regime di Assad e la sua possibile caduta hanno attratto gli appetiti sulla Siria dell’Arabia Saudita, nazione nemica giurata dell’Iran e capofila dei paesi sunniti. I sauditi sono sospettati di aver finanziato al-Nusra e forse anche Isis. Lo scontro fra sauditi e iraniani si ripercuote anche sul vicino Iraq e nello Yemen.
Ambizioni sulla Siria sono mosse anche dalla confinante Turchia che da subito ha sostenuto i ribelli e in particolare il FSA. La Turchia ha più volte inviato soldati oltre confine, in particolare contro i curdi temendo ripercussioni anche nelle sue regioni sud-occidentali.
Gli Stati Uniti e i Paesi europei hanno inizialmente sostenuto i ribelli del FSA, poi, dopo che il FSA è stato infiltrato dagli islamisti, hanno sostenuto in particolare i miliziani curdi. Tuttavia l’Occidente ha sempre cercato di non farsi coinvolgere troppo nel conflitto, dopo le brucianti esperienze irachene e libiche. Dopo l’avanzata dell’Isis, le aviazioni di Francia, Usa e Regno Unito hanno bombardato le postazioni dei terroristi oppure hanno fornito sostegno dall’alto a truppe a terra che combattevano contro gli estremisti. Contro Assad hanno invece agito tramite sanzioni ed embarghi. Obama, nel corso della sua presidenza, aveva stabilito una red line: se durante la guerra verranno impiegate armi di distruzione di massa, l’America sarebbe intervenuta militarmente nel Paese.
Tale linea rossa viene scavalcata nel 2013, quando armi chimiche al gas sarin vengono impiegate a Gutha, un sobborgo di Damasco, causando decine di morti. Mentre Assad e ribelli si rimpallano a vicenda le responsabilità, Obama ritene responsabile il governo e si prepara a intervenire. La reazione contraria dell’opinione pubblica mondiale, del Congresso e infine di Papa Francesco che inizia un digiuno per la pace, spingono Obama a retrocedere. La Russia convince Assad a fare un gesto distensivo, cedendo alle Nazioni Unite il suo arsenale chimico. La responsabilità dell’attacco di Gutha non è stata mai accertata.

L’ISIS
Capitolo a parte merita l’ISIS, che nasce nel corso del 2013 e si impone nel 2014. L’Isis, sigla che sta per Stato Islamico della Siria e dell’Iraq, è un gruppo di fondamentalisti islamici che però prende nettamente le distanze da al-Nusra, la sigla che fino ad allora aveva riunito le bande fondamentaliste in Siria e anche da al-Qaeda. L’Isis, grazie ad una propaganda curatissima che viaggia sul Web, raccoglie sotto le sue bandiere giovani che giungono da ogni parte del mondo, anche dalle terre più civilizzate del pianeta. Isis si impossessa rapidamente delle regioni al confine fra Siria e Iraq, costituendo un vero e proprio Stato autonomo dove impone la rigida applicazione del Corano. Si scontra e vince sia contro i ribelli del FSA e di al-Nusra, sia contro i curdi (assedio di Kobane), sia contro i soldati governativi. L’Isis impone un regime durissimo nelle regioni dove governa: si rende responsabile di sequestri di persona, di stragi, di stupri, di operazioni di pulizia etnica, di omicidi crudeli e spietati. I massacri dell’Isis sconvolgono il resto del mondo. L’Isis organizza anche attentati in Europa, in Canada, in Australia e negli Stati Uniti usando miliziani arruolati fra i cittadini del posto. Alcuni Stati dell’Occidente, in particolare la Francia, reagiscono inviando caccia e bombardando le postazioni dell’Isis nel nord-est della Siria.
Con l’ISIS i gruppi in lotta in Siria arrivano a cinque: al-Assad, ISIS, al-Nusra, FSA e curdi. Tutti e cinque in lotta gli uni contro gli altri.

La probabile vittoria di al-Assad
L’impetuosa crescita dell’Isis e il passo indietro di Obama rafforzano al-Assad che, forte anche del sostegno russo sul campo, riesce ad avanzare sconfiggendo l’ESL ad Aleppo e l’Isis a Palmira. In un Paese stremato da una lunghissima guerra civile, Assad ha buon gioco nel presentarsi come il meno pericoloso e come un oppositore del terrorismo. Al resto del mondo può mostrarsi con l’unico in grado di riportare stabilità in Siria e di conseguenza nel resto del Medio Oriente. Da non dimenticare poi che una Siria stabile converrebbe anche all’Occidente, in forte difficoltà nel gestire la marea di profughi in fuga dal Paese e finora arginata pagando a caro prezzo la Turchia. I ribelli sono sempre più deboli: il FSA è quasi scomparso, l’Isis ha perso terreno, i curdi si sono avvicinati clamorosamente all’arcinemico al-Assad.
In teoria, al-Assad sarebbe dovuto essere agevolato anche dall’uscita di Obama dalla Casa Bianca e dall’elezione di Trump che si era sempre detto contrario a qualsiasi ingerenza statunitense in Siria. Il recente attacco missilistico in reazione ad un bombardamento con armi chimiche attribuito ad Assad (curiosamente Trump ha reagito proprio perché Assad ha violato la linea rossa di Obama!) ha riportato gli Usa al centro del gioco. Sembra trattarsi però più di un gesto dimostrativo che un qualcosa in grado davvero di cambiare le sorti della guerra.
I numeri
Si ritiene necessario concludere con i numeri, col prezzo che sta pagando la popolazione siriana schiacciata fra questi giochetti. Al momento si contano 400.000 morti e migliaia di feriti e mutilanti. Senza contare i traumi psicologici: ci sono bambini che da quando sono nati hanno visto solo la guerra. Undici milioni di siriani hanno dovuto abbandonare le loro case: quattro quelli fuggiti all’estero, principalmente in Turchia, in Libano o in Giordania.